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trekking in Perù - Inca Trail da Cusco-Quillabamba a Machu Picchu


Il Capac Ñan era il Cammino Reale degli Inca. Un sistema viario di circa 20.000 km che collegava il deserto ai nevai, la giungla selvaggia alle fiorenti città. Consentiva ai villaggi andini di ricevere i prodotti del mare e a quelli sulla costa di procurarsi legna e coca dalle Ande e piume rituali dall'Amazzonia. Grazie al sistema stradale gli Inca controllavano da Cusco (il centro della rete viaria) territori dislocati a migliaia di chilometri di distanza. E qualora non fosse possibile costruire strade, l'ingegneria rimediava con scalinate e ponti, creando un'impareggiabile rete di comunicazioni.Il Capac Ñan era il cammino principale dal quale si diramavano una serie di percorsi laterali, con una copertura totale di 40.000 Km. Gli antichi andini studiarono tanto a fondo le caratteristiche del terreno che disegnarono i cammini in modo che due punti fossero sempre collegati dal più breve tragitto possibile. A intervalli regolari si edificavano dei "tampu", luoghi di ristoro e di approvvigionamento per affrontare gli itinerari più lunghi.

In genere i cammini inca sono selciati, presentano canali, scale e tunnel. Possono arrivare a 5 metri di larghezza e mostrano grande cura nella lavorazione e disposizione delle pietre.

I ponti sono una delle maggiori attrazioni del Cammino Inca. Sono costruiti con corde fissate a pilastri di pietra, a loro volta tagliati appositamente sulle rive dei fiumi. Sembrano estremamente fragili, ma sono resistentissimi e sono tuttora utilizzati dagli abitanti delle Ande, che continuano a incaricarsi della manutenzione e ricostruzione.

Senza ombra di dubbio il tratto più noto del Cammino Reale è quello che parte dal Km 88 della linea ferroviaria Cusco-Quillabamba e continua per 42 Km fino a Machupicchu. Il tragitto, segnato per lo più da sentieri selciati, attraversa importanti centri archeologici, come Huayllabamba, Runcuracay, Sayacmarca, Puyupatamarca, Huíñayhuayna e Intipuncu.Bisogna disporre di 4 giorni per percorrerlo interamente: la varietà paesaggistica ed ecologica del cammino è sorprendente. Si sormontano due cime piuttosto elevate: Huarmihuañusca (4,200 m) e Runcuracay (3,800 m). è pertanto consigliabile acclimatarsi a Cusco prima di affrontare la camminata.


1° giorno:
Si parte dal Km 88 della linea ferroviaria Cusco-Quillabamba. Il treno fa una breve sosta all'altezza di Corihuayrachina, dove si viene registrati e si "acquista" il diritto di percorrere il cammino inca e di entrare nel Parco Archeologico di Machu Picchu (ora non più necessario, dal momento che il percorso si può intraprendere solo con le agenzie autorizzate che si incaricano di tutto). Quindi si attraversa il ponte Cusichaca sul fiume Urubamba. Sul lato sinistro del sentiero si costeggia un bosco di eucalipti, a un'altezza media di 2.700m, fino ad arrivare ai resti archeologici di Quente e Llactapata. Si prosegue fino a Huayllabamba (ultimo centro abitato). Il paesaggio è in genere coloratissimo e tappezzato di ginestre. È possibile accampare a Huayllabamba (si consiglia l'ampia radura vicino alla scuola) oppure proseguire fino a Tres Piedras, a circa 30 minuti di distanza.

2°giorno:
Sveglia all'alba. Si affronta una salita scoscesa fino a Huarmihuañusca (4.200 m). Questo tratto era noto, nei secoli XVIII e XIX, come la rotta del contrabbando. A dorso di mulo si trasportavano la canna da zucchero e la coca per evitare di pagare gli alti dazi doganali. Huarmihuañusca è l'unico punto dell'itinerario in cui si può manifestare il famigerato "soroche" (mal d'altitudine): sarà sufficiente acclimatarsi, magari masticando foglie di coca o prendendo apposite medicine (le farmacie di Cusco sono adeguatamente provviste). Qui soffiano di solito forti venti e la temperatura si abbassa. Dopo un riposo rigeneratore si inizia la discesa fino alla valle del fiume Pacaymayo, dove si accampa.

3° giorno:
È la tappa più larga della camminata. Anche se i dislivelli non sono bruschi, il tratto da percorrere è lungo: si deve attraversare un secondo passo, Runcuracay (3.800 m), per poi scendere fino alla Laguna Negra e raggiungere Sayacmarca. Da lì si passa attraverso un tunnel preispanico e si arriva a Puyupatamarca.

4° giorno:
Si parte molto presto e si scende fino ai terrazzamenti di Huíñayhuayna. Per circa 8 km si segue un sentiero a bassa altitudine ("cejas de selva"), che conduce a Intipuncu e, finalmente, a Machu Picchu.


buone vacanze da CLIMBING ADDICTED!


CLIMBING ADDICTED vi augura buone vacanze e buone escursioni... ovunque voi siate

prossimo aggiornamento 1 settembre 2009


Luca & Giacomo - Soddisfazione senza successo: Valle dell’Orco, via della Rivoluzione, 150m, ED-, 6b, A2+/A3

25 luglio 2009

La nostra Ford Fiesta corre verso Ovest, inseguendo il sole che sta per tramontare. I soliti discorsi cercano di distrarci dall’afa della pianura vercellese e dalla noia di uno stradone anonimo che ci condurrà ad Ivrea, da cui prenderemo la strada per Cuorgnè, Locana, Noasca. Obiettivo: il Caporal, Valle dell’Orco.
Stasera siamo proiettati sul domani più del solito, perché ci attende qualcosa di nuovo, la nostra prima via di artificiale: Via della Rivoluzione, 150m, ED-, 6b, A2+.



Ci parliamo, solleviamo dubbi sui due tiri centrali di artificiale: A2, A2+, c’è chi dice A3. Nulla di estremo, anche perché si tratta di gradi nella vecchia scala (dovrebbero corrispondere ad un A1+ nella scala new age), anzi, i veterani dell’artificiale considerano questa via, per quanto da non sottovalutare, come “ideale per passare una piacevole giornata in mezzo alla natura” (Valerio Folco). Ne siamo consapevoli, ma l’ignoto solletica sempre qualche timore. E sappiamo anche che Folco è uno dei migliori artificialisti, quindi calibriamo la sua dichiarazione sulle nostre capacità.
Per questo io e Luca adottiamo sempre la politica piemontese dell’esageruma nen, ma stasera mi accorgo di essere meno piemontese di lui e continuo a tranquillizzarlo, quasi a provocarlo. Luca non è convinto del tutto, così gli dico di non preoccuparsi, che l’A3 si fa benissimo, che comunque io ho già una piccola esperienza di artificiale a Bismantova (cosa falsa, ovviamente), ma so comunque che anche Luca sta morendo dalla voglia di appendersi ai cliff e che, anche se stasera è più bugia nen del solito, domani mi seguirà ovunque.
All’imbrunire arriviamo alla galleria tra Noasca e Ceresole, da cui usciamo a metà con una virata a sinistra un po’ folle (avete mai visto uscire una macchina da un buco aperto nella parete laterale di una galleria?), e subito piantiamo la tenda e accendiamo i fornelli: dopo mezzo di chilo di pasta al ragù, aggiungendo al sugo una scatola di tonno, compreso l’olio perché fosse più vuncia, ed esserci scolati una bottiglia di dolcetto, andiamo a dormire felici masticando un pezzo di cioccolata, sotto il profilo del Caporal che una debole luna ci permette appena di scorgere.


26 luglio 2009

Di buon mattino mettiamo il naso fuori dalla tenda e la prima immagine ad essere proiettata sulla nostra retina è la mole imponente del Caporal, quasi un modello in scala delle pareti granitiche californiane. Colazione storica, perché riesco a far bere a Luca qualche goccia di tè. Gli fa schifo, ma butta giù. Siamo pronti.

Mentre risaliamo le tracce di sentiero, il volto selvaggio dello scudo del Caporal spunta tra i rami delle piante. Ancora qualche passo, alzo lo sguardo, e tutto d’un tratto appare l’intera parete di fronte a noi. Una meraviglia.
Siamo all’attacco della via, parto, Luca mi incita da sotto. Il primo tiro è un 6b un po’ violento, tutto sommato lo passo bene, i friend e i dadi si fanno mettere senza problemi, eppure non mi sento tranquillo, sono preso dai pensieri per quello che verrà dopo e dai cordoni marci a cui sono appeso in sosta. Decido di rinforzarla con qualcosa di più sano.
Recupero Luca e quando mi raggiunge stiamo un po’ scomodi, con i piedi incastrati sull’unico gradino dei dintorni. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia, beviamo, non abbiamo sensazioni positive. Siamo un po’ demoralizzati dal primo tiro, eravamo convinti che fosse un 6a e l’abbiamo preso sotto gamba.
Ora incominciano i tiri di artificiale, dispongo le daisy, le staffe, i cliff e tutta l’attrezzatura in maniera ordinata, l’artificiale richiede ordine e pulizia, altrimenti si è fregati: friend grossi e dadi grossi a destra, roba piccola a sinistra, il tutto ordinato secondo la dimensione; a tracolla rinvii, chiodi, cliff. Per ultimo estraggo il martello e lo butto giù, a penzolare attaccato all’imbrago da un cordino.Bevo ancora una volta, mi assicuro che Luca mi abbia in carico e mi slego dalla sosta. Faccio un respiro profondo e poi parto.
Subito dopo la sosta metto un friend del 3 e mi ci appendo, non mi sento carico, c’è qualcosa che non va, guardo Luca e gli dico:
- Mah, ci provo.- Vai su, vedi fin dove riesci ad arrivare, al massimo appena pianti un chiodo decente ti calo.
Lo mando mentalmente a quel paese: perché mai dovrei calarmi? No, voglio chiudere il tiro, costi quel che costi, così impara a dirmi di calarmi!
Dopo il friend un micro nut, poi un chiodo, poi ancora nut… dai, Giacomo, stai andando su bene. Ancora qualche metro e qualche nut e arrivo ad un punto da interpretare un po’. Mi appendo ad un solido chiodo, mi volto verso il basso e urlo:
- Luca, mi sono ripreso! L’adrenalina gira di nuovo!


Finalmente la mia mente si è sbloccata. Sì, era quello il problema, la mente, come sempre. Ora che sono in ballo, ho cancellato ogni pensiero, non mi accorgo nemmeno del tempo che passa, del sole o delle nuvole, perché sono entrato in quello stato di trance irripetibile che solo l’arrampicata sa regalare ogni volta.Riprendo il mio viaggio, felice di fare quello che sto facendo, felice soprattutto di sapere che lo sto facendo bene. Questo tiro è bellissimo, insegue per quasi trenta metri una fessurina chiusa da una piccola scaglia, in cui non entra niente se non micro nut, e chiodi a lama media o sottile, per poi finire sotto un tetto. Tutto attorno un muro liscio di granito rosso, verticalissimo, senza il minimo appiglio: la fessurina è l’unica strada possibile per salire.
La sezione centrale offre qualche salvifico chiodo a pressione in loco, ma per arrivarci devo fare un passo su un cliff precario, messo un po’ di traverso in una fessura diagonale, perché il chiodo a pressione era troppo in altro per poter essere raggiunto.Dopo l’ultima sezione, un poco più delicata per via di due chiodi che non riesco a piantare come si deve, uno dei quali è conficcato solo per metà ma che fortunatamente ha retto il peso del mio corpo, arrivo in sosta e ululo di piacere, nonostante sia di una scomodità unica: sono appeso sulle staffe.

Luca viene su bene, anche lui all’inizio un po’ timoroso, ma poi sento che trova il suo ritmo, il suo ritmo interiore. Qualche metro prima della sosta aggancia una staffa al chiodo più precario del tiro, quel chiodo sui cui io ho cercato di rimanere appeso il meno possibile, forse qualche secondo appena. Luca pesa poco più di me, forse quei pochi grammi superano il carico limite di quell’ancoraggio: appena prova a caricarci il peso sopra, il chiodo schizza fuori dalla fessura e Luca si trova a penzoloni nel vuoto. Un piccolo spavento, ma non succede niente.
Mi raggiunge in sosta, mi guarda negli occhi ed esclama:
- Cazzo che figata! Che figata!
Gli sorrido in maniera un po’ perfida, come per dire: “Eh, e tu volevi calarmi? Maledetto!”.
Purtroppo non possiamo continuare, Luca ha male ad un tendine e anch’io, appena reduce da un infortunio al dito medio della mano sinistra, non voglio esagerare.
Ci caliamo, abbiamo fatto solo due tiri, ma… che soddisfazione! La soddisfazione più grande finora, sono sincero, nonostante la via non terminata. Anche Luca ha il mio stesso stato d’animo, ci guardiamo e ridiamo come bambini.
Ora non resta che scendere dal sentiero. Arriviamo alla macchina e ci prendiamo il tempo per una merenda leggera prima di partire: fagioli e ceci in padella con mortadella, tonno e formaggio. Una bontà, l’unico neo sono le mosche che ci perseguitano, siamo luridi, forse sappiamo di capra selvatica.
Mentre cerchiamo di digerire e, vanamente, di dissetarci, guardiamo in su, e tutti e due pensiamo la stessa cosa: dobbiamo tornarci, qua, il più presto possibile. Questo posto ci ha stregati.
- Dobbiamo finire la via e farne delle altre, - dico a Luca.- Sì, - mi risponde - e dobbiamo scrivere la relazione per il sito dei Ramarri!- Certo, ci torneremo quanto prima Luca, quanto prima. Ma adesso passami due friend che devo fare una foto stupida.

Grandi ragazzi!!!


from GRUPPO ALPINISITCO RAMARRI


le donne sono più adatte degli uomini alla quota

Le donne resisistono meglio degli uomini all'alta quota. Questo l'interessante risultato emerso dagli studi della spedizione italiana Highcare, che l'anno scorso ha condotto al campo base dell'Everest numerosi test medici. I dati verranno presentati oggi e domani a Milano, anche se manca ancora la pubblicazione ufficiale della ricerca.

L'organismo femminile è più adatto all'alta quota di quello maschile. Almeno secondo quanto emerso dagli ultimi studi condotti alle pendici dell'Everest dal team di ricerca dall’Istituto Auxologico italiano di Milano in collaborazione con l’università Bicocca, sotto la guida del cardiologo Gianfranco Parati.

La scarsa ossigenazione, che provoca effetti deleteri sulla respirazione nel sonno nel 60 per cento delle persone già a 3.500 metri di quota, con risvegli notturni e apnee, secondo la ricerca, sul gentil sesso avrebbe effetti minori. Le donne della spedizione avrebbero infatti cominciato a manifestare questi sintomi a quote ben più alte.

Secondo quanto riferisce Parati al Corriere della Sera, un'ipotesi possibile è che la migliore resistenza delle donne sia dovuta ruolo protettivo gli ormoni femminili, estrogeni e progesterone.

"C'erano circa una quindicina di donne in spedizione - ha commentato Annalisa Cogo, professoressa di Malattie Respiratorie all'Università di Ferrara e ricercatrice del settore Medicina e Fisiologia del Comitato EvK2Cnr -. E' la prima volta che emerge un dato di questo tipo. Una volta che la ricerca sarà stata verificata dai referee della comunità scientifica e sarà pubblicata sulle riviste internazionali, sarà molto interessante andare a vedere nel dettaglio i risultati".



i 14 ottomila

L' Everest è la più alta vetta della Terra. È situato nella catena dell'Himalaya, al confine tra la Cina e il Nepal.
Il monte è chiamato Chomolangma (madre dell'universo) in tibetano e Qomolangma (珠穆朗瑪峰 pinyin: Zhūmùlǎngmǎ Fēng) in cinese. Il nome nepalese è Sagaramāthā (सगरमाथा, in Sanscrito "dio del cielo"), ideato dallo storico nepalese Baburam Acharya e adottato ufficialmente dal governo del Nepal all'inizio degli anni Sessanta. Nel 1852 venne chiamato "Cima XV".


Il K2, conosciuto anche come Monte Godwin-Austen, ChogoRi (lingua Baltì) o Dapsang, si trova nel gruppo del Karakorum che appartiene alla catena dell'Himalaya ed è, con i suoi 8611 metri, la seconda montagna più alta della Terra dopo l'Everest.
Si trova al confine tra la parte del Kashmir controllata dal Pakistan e la Contea Autonoma di Taxkorgan di Xinjiang, Cina.
Chogori significa Grande montagna,
ma per la sua difficoltà alpinistica e per il fatto che in media per ogni 4 alpinisti che tentano la scalata, uno muore, il K2 è conosciuto anche come la Montagna Selvaggia
.


Il Kanchenjonga è la terza montagna più elevata della Terra. Situata al confine fra il Nepal e lo stato indiano del Sikkim, dal 1838 al 1849 è stata ritenuta la vetta più elevata del pianeta. Nel 1849 rilevamenti britannici appurarono che l'Everest e il K2 erano più elevati. Il Kanchenjonga è il più orientale degli "ottomila" dell'Himalaya.
L'origine del termine Kanchenjonga è incerta e controversa ma una delle versioni più diffuse è quella che attribuisce alla parola la traduzione "cinque tesori della grande neve" con riferimento ai cinque picchi di cui è composto il massiccio.


Il Lhotse è la quarta montagna più alta della Terra. Esso è composto da tre vette ed è collegato direttamente all'Everest tramite l'alta dorsale del South Col.
Il Lhotse è indicato con la sigla E1 dal servizio cartografico dell'India, in quanto la montagna non pare avere un nome ufficiale né in tibetano, né in nepalese. Nell'agosto del 1921, Howard Bury non trovando un nome locale che definisse la montagna propose Lhotse, che in tibetano vuol dire picco sud, in quanto la sua cima si trova a sud dell'Everest ed è unito ad esso tramite il colle sud.

Il Makalu (chiamato ufficialmente in Nepal मकालु; in Cina Makaru; in cinese: 马卡鲁山, in Pinyin: Mǎkǎlǔ Shān) appartiene alla catena dell'Himalaya, è localizzato sul confine tra Nepal e Tibet circa 22 km a est dell'Everest ed è il quinto monte più alto della Terra, 8.462 m s.l.m. oppure 8.463 m s.l.m. a seconda delle fonti
Il significato del nome Makalu non è ancora oggi chiaro. L'ipotesi più accreditata è quella di una storpiatura del termine
sanscrito Maha – kala (grande tempo), uno degli appellativi con cui era chiamata la divinità indù Shiva, secondo altre interpretazioni il nome deriverebbe da un termine tibetano che tradotto significa "grande nero" con evidente riferimento al colore dei graniti scuri visibili sui versanti della montagna.


Il Cho Oyu (la Dea Turchese) è il sesto monte per altezza sulla Terra. È situato sul confine tra Cina e Nepal, fa parte della catena dell'Himalaya e dista circa 20 km ad ovest dell'Everest.

Il Dhaulagiri (Montagna Bianca) è alto 8.167 metri s.l.m. ed è il settimo monte più alto della Terra, la maggiore cima situata interamente in un'unica nazione. Si trova in Nepal, fa parte della catena dell'Himalaya, 35 km a est dell'Annapurna, separato da esso dalla valle Kali Gandaki.

Il Manaslu (मनास्लु, conosciuto anche come Kutang) è l'ottava montagna più alta del mondo e si trova nelle catena montuosa dell' Himalaya. Il nome Manaslu deriva dal sanscrito manasa, che si può tradurre come "montagna dello spirito".

Il Nanga Parbat (conosciuto anche come Nangaparbat Peak o Diamir) è la nona montagna più alta della Terra. Nanga Parbat significa "montagna nuda" in lingua Urdu mentre gli sherpa, gli abitanti della regione himalayana, la chiamano "la mangiauomini" o la "montagna del diavolo".


l'Annapurna è un massiccio montuoso situato nel Nepal centrale e fa parte della catena dell'Himalaya. È lungo circa 55 km e la sua cima più alta, l'Annapurna I, è alta 8.091 m. È stato il primo 8.000 ad essere conquistato dall'uomo. Il suo nome, in sanscrito, significa dea dell'abbondanza.

Gasherbrum I (noto anche come Hidden Peak o K5) è l'undicesima montagna più alta della Terra. Il Gasherbrum I fa parte del massiccio del Gasherbrum, situata nella regione Himalayana del Karakorum. Gasherbrum nella lingua locale significa "Muro splendente".

Broad Peak (conosciuto anche come K3) è il dodicesimo monte più alto della Terra. È situato sul confine tra Cina e Pakistan, nella catena del Karakorum. Il Broad Peak fa parte del massiccio del Gasherbrum, dista 8 km dal K2. Fu originariamente chiamato K3, ma quando si scoprì che la sua parte sommitale era lunga 1,5 km fu ribattezzato "Broad Peak", ovvero "Cima Larga".

Gasherbrum II (noto anche come K4) è la tredicesima montagna più alta della Terra. Il Gasherbrum II è la terza vetta più alta del massiccio del Gasherbrum, situato nella catena montuosa del Karakoram, nell'Himalaya.


Shisha Pangma (Gosainthan), è la quattordicesima montagna più alta della terra, la più bassa dei 14 ottomila. È situato in Tibet, fa parte della catena dell'Himalaya.