Lightbox Effect

Quarzite

La quarzite è un tipo di roccia metamorfica composta in netta prevalenza daquarzo. Derivano dallo smantellamento e successivo passaggio metamorfico diquarzoareniti. Le varietà più incolori, trasparenti e dall'aspetto vitreo sono composte quasi esclusivamente di quarzo. Al quarzo possono essere associati altri minerali quali miche, feldspato potassico, plagioclasi, carbonati, ecc.. Data la grande stabilità del quarzo (non altera), le informazioni sul grado metamorfico sono date proprio dai minerali accessori. La tessitura è prevalentemente massiva, ma la presenza di miche può trasformala in scistosa.

Derivano da rocce sedimentarie come arenarie, selci ma anche da apliti e pegmatiti.

La selce, roccia sedimentaria composta quasi esclusivamente di silice, non va confusa con la quarzite.

Hanno impiego in edilizia ed anche nell'industria dei refrattari e della ceramica, nonché in quella del vetro.


a giorni il tentativo di una via nuova sul Bianco per Hervè Barmasse

VALTOURNENCHE, Aosta -– E’ conto alla rovescia per l’impresa sul Monte Bianco pianificata da Hervè Barmasse. Non appena il meteo si metterà al bello, l’alpinista valdostano partirà alla volta del massiccio per aprire la seconda via nuova del progetto “Exploring the Alps”, che prevede l’apertura di tre nuove linee sulle tre cime più alte delle Alpi.
Ghiaccio? Misto? Roccia? Di che via si tratti, è ancora un mistero. I dettagli arriveranno solamente a progetto compiuto. L’unica cosa certa, per il momento, è che stavolta Barmasse non sarà solo. Con lui ci saranno i due celebri climber baschi Iker ed Eneko Pou, che si trovano già in Val d’Aosta da alcuni giorni.
In questo periodo, i tre alpinisti hanno fatto alcune salite di acclimatamento, tra cui il Breithorn, 4162 metri. Purtroppo il meteo avverso non ha ancora permesso loro di effettuare il tentativo sul Bianco, ma l’intenzione è quella di procedere non appena le condizioni lo consentiranno.
Exploring the Alps è il progetto promosso da The North Face e dalla regione autonoma Valle d’Aosta, con cui Barmasse vuole aprire 3 vie nuove sulle tre cime più alte delle Alpi: Monte Bianco, Monte Rosa e Cervino. Dopo la via aperta sul versante italiano del Cervino, in solitaria, lo scorso 8 aprile, ora è giunta l’ora del Tetto d’Europa.
In attesa di notizie sulla salita, vi regaliamo questo video sulla fase di preparazione, le emozioni e le aspettative dei tre atleti in partenza per il Bianco.



Hueco and Joes Valley 2010


Stormy Day at Lincoln Lake


Västervik International Boulder Meet 25-28 agosto 2011

Per tutti coloro che hanno in programma una vacanza estiva nei paesi scandinavi può essere interessante sapere che dal 25 al 28 agosto si svolgerà il Västervik International Boulder Meet, un raduno internazionale di bouldering nell'area di Västervik.


Un video sui blocchi dell'area.





Cima di Nasta 3108 mt.


La mamada perdida, 7b+


GUARDONE - Olbicella boulder exploring


IL PRIMO - Olbicella boulder exploring


Hardest of the Alps & Bouldering in the Mediterranean





big boulder for early climbers


POSAGE Vol.2


"Towers of the Ennedi" in Chad


we can do that?


u b


Trailer - Posage Vol.2

dopo l'embed su blog nipponico

a breve…..

POSAGE Vol.2


tanta voglia di mare per Mario Panzeri dopo il GI

Mario Panzeri sul G1 (Photo courtesy www.gasherbrum2011.it)


ISLAMABAD, Pakistan – “E’ andata bene, sono contento, nell’unico giorno bello siamo riusciti a fare la cima. Ma adesso ne ho piene le scatole di piccozze e sacchi a pelo: ho solo voglia di togliere questi scarponi e di andare al mare!” Così Mario Panzeri esordisce al telefono poche ore dopo aver raggiunto la vetta del Gasherbrum I, 8.068 metri, che il 13 luglio è diventato il 13esimo ottomila della sua carriera.

Dopo la difficile scalata al Kangchenjunga, avvenuta alla fine di maggio, non vedeva l’ora di ripartire per il Karakorum e mettere le mani sul Gasherbrum I. Ora che ha toccato anche quella vetta, finalmente, Mario Panzeri sembra sazio di ottomila, e a sopresa inizia a mostrare perfino un po’ di insofferenza verso neve e ghiaccio.

“Non voglio più vedere scarponi, picche e sacco a pelo fino all’anno prossimo – scherza Panzeri -. Me ne manca solo uno, ma il Dhaulagiri dovrà aspettare la primavera. Sono contento, tanto contento. Ma adesso qui nevica, ho addosso il piumino, fa freddo. Non vedo l’ora di togliermi tutte queste cose, e ritrovare il caldo dell’estate”.

Panzeri ora è già sulla via del rientro verso casa. Il suo arrivo in Italia, da dove era partito il 15 giugno, è previsto per sabato 23 luglio. Una spedizione che in poche settimane ha portato il risultato sperato, nonostante l’acclimatamento del Kangchenjunga fosse già svanito.

“Era passato un mese ma l’acclimatamento l’avevo già perso – racconta Panzeri- La prima volta che sono salito a campo 1 e ho dormito lì mi girava anche un po’ la testa. Non sono stato bene un giorno, ma poi mi son ripreso. Sono salito direttamente a campo 2 e poi ero pronto per la cima, aspettavo solo la finestra”.

“Fino all’altro giorno abbiamo avuto un tempo terribile – dice l’alpinista lecchese -. Faceva un giorno di sole e poi neve e acqua, neve e acqua. Siamo saliti a campo 1 mentre nevicava, a campo 2 anche e a campo 3 ancora peggio. Eravamo tutti bagnati. Il 13 luglio è stato l’unico giorno davvero bello, e siamo andati in cima. Abbiamo trovato molta neve fresca, ma è andata bene. C’erano anche gli austriaci in salita, e c’era Ali, il compagno pakistano perché l’Alberto Magliano e gli altri della spedizione andavano al GII. Ci siamo trovati benissimo, abbiamo messo le corde fisse nei Couloir dei giapponesi e siamo saliti tutti insieme”.

Sul GI erano in salita anche altri italiani: Giuseppe Pompili, Mario Vielmo, Silvano Forgiarini e Adriano dal Cin. Ma il quartetto ha deciso di aspettare un giorno in più a campo 3 e di tentare il 14 luglio, quando il meteo era purtroppo chiamato a peggiorare. Alla fine, sono dovuti rientrare al campo base senza cima, e ora sembra stiano tornando in Italia: il meteo è dato brutto per diversi giorni, e il loro permesso di salita scade sabato 23 luglio.


Crimpin' Aint Easy - Episode 01


soddisfazioni boulderistiche estive

foto scattata da Mr. Luca
ore 6:00 a.m. circa
Rifugio Barbara Lowrie 1753 mt.
Località Grange del Pis
Bobbio Pellice (TO)


tour del GR 20 - Corsica

Grande Randonnée della Corsica (Piergiorgio Mozzanica)


CALENZANA, Francia — Meravigliosa Grande Randonneè della Corsica. Ecco alcune immagini del tour inviateci qualche tempo fa dal lettore Piergiorgio Mozzanica: il ricordo di un’estate trascorsa sulle alture selvagge dell’isola, lungo il celebre GR 20, considerato da molti uno dei trekking più impegnativi d’Europa.

La Grande Randonnée della Corsica è il percorso lungo circa 180 chilometri, che attraversa le montagne della Corsica da nord-ovest a sud-est, con un dislivello totale di circa 15.000 metri. Parte dal comune di Calenzana e finisce in quello di Conca. Il sentiero, soprattutto nella parte nord, considerata la più difficile, si sviluppa su percorsi ripidi e anche su terreni rocciosi che richiedono un minimo di esperienza nella scalata e nelle ferrate. La parte sud invece presenta dislivelli minori ed è ritenuta più facile.










Old man of Hoy


coast boulder life


GLI SPETTACOLALRI - Gurla Mandhata


Gurla Mandhata, o Naimona'nyi o Memo Nani ( cinese : 纳木那尼峰) è la vetta più alta del Himal Nalakankar , un sotto insieme piccolo del Himalaya . Si trova nella contea di Burang della prefettura di Ngarinella regione autonoma del Tibet della Cina , vicino al nord-ovest del Nepal . E' la 34esima vetta più alta nel mondo (con 500 metri di prominenza di taglio). Si trova approssimativamente tra Lago Manasarowar dalla vetta del sacro monte Kailash . Il nome tibetano, Naimona'nyi

Rifugio Barbara - relazione di Christian Core

I mesi estivi sono un problema per noi boulderisti, spesso fa troppo caldo e diventa difficile trovare buone condizioni per scalare, così i pochi posti esistenti diventano preziosissimi.

Per nostra fortuna a poche ore di macchina esistono diverse montagne non elevatissime e quindi perfette per i nostri obiettivi. Questa volta la meta prescelta si trova in Val Pellice “Piemonte”, così mi metto d’accordo con il mio amico Roberto Bocchi, local della zona e boulderista incallito.

Dopo due ore di macchina arrivo quasi a Bobbio Pellice, finalmente leggo la deviazione a sinistra per Rifugio Barbara, è estate, non vedo l’ora di arrivare, Roberto ha visitato spesso questa zona, assicurandomi che in cima merita davvero, ha già visto molti posti in giro per il mondo, mi fido.

Giro al cartello, finalmente inizia la parte finale della strada che costeggia un fiume e sale ripidissima su per la valle. Centinaia di massi sparsi ovunque cominciano ad apparire, mi agito, la maggior parte dei blocchi presenti sono strapiombanti, a volte tetti, apparentemente mezzi puliti e siamo soloall’inizio della salita. La macchina di Roby è già molto avanti a noi, conosce il posto e continua a salire, io lo seguo cercando di guardarmi intorno e ogni volta mi distraggo ed esulto, rischiando di uscire di strada, perché spesso senza protezioni ai lati. Stella stressata mi implora di guardare avanti e mi rassicura dicendo che li guarda lei per me e mi riferisce, pace, li osserverò al ritorno, mi ripeto nella mente.



Lungo la salita stretta e ripidissima incontro continuamente macchine che salgono e scendono, turisti che come noi vanno o tornano dal rifugio. Sono costretto ripetutamente a fermarmi e ripartire.

Dopo l’ennesima sfrizionata mi cade quasi per caso l’occhio sull’indicatore della temperatura dell’acqua che cresce lentamente (…?!?!?…), anche se è estate senza esitare un secondo accendo il riscaldamento al massimo per non fare danni, la lancetta scende di un poco e mi rassicuro da solo, pensando che tanto mancheranno ancora pochi minuti. All’ inizio della deviazione c’era scritto “solo” 9 km, non so quanti ne ho fatti fino a qui ma ormai dovremmo esserci. Intanto le macchine davanti a me continuano ad inchiodare per ammirare le farfalle e ogni filo d’erba e fogliolina che muove, io dietro prego Dio che non scoppi tutto. L’indicatore sale ancora, il riscaldamento a “tavoletta” non è più sufficiente, dico a me stesso che forse dovevo aggiungere acqua nel motore, o comunque fare qualche controllo prima di partire, non sapevo di questa salita, ormai sono qui, pace…

Continuo per i tornanti la salita peggiora ancora, macchine e gente a piedi mi bloccano continuamente; arrivo al parcheggio basso delposto, forse ci siamo, azzardo la super salita finale, gli ultimi 100 metri, che mettono ad ulteriore prova la macchina, e finalmente arrivo in cima.

Riesco a parcheggiare vicino al rifugio, spengo immediatamente il mezzo per evitare l’imminente esplosione del radiatore e scendo per riprendermi un poco dallo stress degli ultimi minuti.

Mi accorgo solo in quel momento che questa stupenda valle si apre, con prati divisi da un fiume e animali che camminano liberi intorno a giganteschi macigni che risalgono le montagne ai lati, ammutolito mi si apre subito il cuore.

E’ bellissimo.

Come prima cosa entro subito nel rifugio per un piccolo rifornimento energia, divorandomi un panino, dove faccio velocemente conoscenza con il gestore, Roby gli aveva già spiegato la nostra passione e l’intenzione di valorizzare l’area. Il posto merita e sicuramente sarebbero arrivate altre persone appassionate di bouldering alla ricerca sia dei passaggi da provare che di calma e pace, cosa che si respira appena si mette piede fuori dalla macchina. Ci ascoltava, e probabilmente gli abbiamo trasmesso il nostro entusiasmo, l’idea di dare importanza al posto, anche sotto un punto di vista differente da quello dei soliti frequentatori della valle gli piaceva molto.

Torno con Stella a prendere il materiale, anche Roby controlla il suo radiatore giunto al limite della sopportazione, già pronto motivato ci fa segno di seguirlo.

Saliamo tenendoci al centro della valle, per avere una panoramica migliore, i macigni sono subito evidenti, facili da raggiungere e spesso le basi dei blocchi sono piatte con erbetta. Le mucche intorno a noi pascolano tranquille, libere da qualunque tipo di recinzione, molti animali sparpagliati per la vallata, famiglie con i bambini campeggiano con tende e materiale da pic nic.



Lo stile della roccia mi appare immediatamente congeniale, in prevalenza si osservano pannelli strapiombanti a tacche, di tutte le altezze e inclinazioni. Un parco giochi perfetto. L’adrenalina rapidamente mi arriva al cervello, lascio il materiale e incomincio a girare come un bambino dentro un negozio di giocattoli, ovunque mi volto appare “qualcosa” che strapiomba con piccole tacchette, non mi sembra vero, un posto estivo con tanti blocchi nuovi da “scoprire” e la maggior parte duri. “Non può essere vero, sto sognando”.

Ringrazio Roby per il regalo che ci ha fatto e iniziamo a scalare senza un obiettivo, perché tutto per noi è ancora da vedere.

Molte prese si rivelano taglienti e dolorose, per fortuna però c’è un po’ di tutto, così riusciamo a non bucarci le dita appena arrivati.

I passaggi sono tanti, saltiamo da un blocco all’altro senza renderci conto del potenziale reale; il primo giorno non serve, basta scalare.

Scaliamo su un pannello a 40° che sembra tagliato, nasce così “Fat bastard” 7c+, dietro c’è il pancione di “Big mother” 8a, intravedo future linee come “Gollum” 8b, “Smeagol” 8a+; poi nascosta dentro un’insenatura tra due rocce, trovo una linea obliqua stupenda che chiamerò anni dopo “Kimera” 8c. Molti macigni sono talmente grandi che diventa facile inventare linee, una sezione scalabile si ottiene sempre.

Alla sera ci fermiamo al rifugio, un posto molto confortevole che offre da dormire e mangiare, doccia veloce con profumini invitanti provenienti dalle cucine e mega cena senza limitazioni.

Andiamo a dormire e ancora mi rivedo tutti quei pannelloni nella mente, faccio fatica ad addormentarmi perché quando si trovano rocce nuove si vive la prima fase “magica” della scoperta, che ti stimola, perché non sai ancora cosa troverai, e potresti scoprire qualsiasi cosa, anche passaggi bellissimi.

I giorni successivi sono stati molto eccitanti, scalando continuamente su linee nuove e saltando come camosci da una roccia all’altra siamo riusciti a visualizzare il 60/70 % del potenziale.



Nel tempo siamo tornati spesso qui, è impossibile annoiarsi, perché ogni volta che veniamo troviamo ancora linee nuove, basta salire un po’ di più verso la montagna per vedere apparire numerosi macigni diversi e compatti; inoltre l’area è perfetta per rilassarsi con gli amici o con la famiglia provando qualsiasi boulder.

Ogni estate convinciamo molti amici a venire con noi, anche quelli che arrivano da lontano rimangono soddisfatti, dal Giappone Dai Koyamada l’estate scorsa appena è arrivato ha cominciato a correre per i blocchi e tra i prati, dopo un accurato giro perlustrativo ci ha confidato che è tra i posti più belli che abbia visto.

Il potenziale è ancora molto da esaminare, risalendo la montagna abbiamo trovato nuove rocce in alto, a circa 30/40 minuti di cammino dal rifugio.

L’ultimo settore scoperto è “La nave”, poco più in alto degli altri. Prende il nome per dal gigantesco roccione a forma di grossa barca, con tanto di prua, poppa e stiva, il lato dietro ci regala un tetto gigantesco con linee molto belle come “La bestia nera”, un 8b che segue l’unica lunga fessura che taglia in due il macigno.

Anche Marzio Nardi e amici hanno valorizzato parte dei massi che si incontrano lungo il fiume, sulla strada asfaltata per arrivare al rifugio, e se si sommano tutti insieme, allora l’intera zona offre davvero tanti passaggi, con stili opposti: accanto all’acqua su roccia liscia con prese piatte mentre in alto prevale l’aderenza su tacche. L’intero luogo si completa.

D’estate il clima è perfetto, all’ombra o alla sera la condizione e sempre ottimale per scalare, e anche al sole il caldo è asciutto, bisogna tenere presente che l’area del rifugio si trova a 1.800 metri e il tempo può variare velocemente, più volte siamo stati sorpresi da piogge improvvise, per fortuna l’infinità di pannelli strapiombanti si rivelano utili anche in questi casi, inoltre la roccia asciuga abbastanza in fretta, quindi non bisogna perdersi d’animo magari si tratta solo di temporali estivi. Lungo il fiume invece i settori si possono frequentare anche nelle mezze stagioni visto che la quota precipita vertiginosamente, tanto più che d’estate si incontrano tantissimi bagnanti che preferiscono la tranquillità della montagna alle spiagge.

Parlando con il gestore del rifugio abbiamo deciso di realizzare una guida del posto, così che tutti capiscano facilmente come raggiungere i passaggi.

Una copia è sempre fissa all’ingresso del rifugio, spesso aggiornata in tempo reale, altrimenti si può scaricare gratuitamente dal sito internet www.infobulder.com



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Roberto Bocchi

Tengo a dire che l’area blocchi in oggetto non è stata scoperta da me.

Io sono stato portato qui, la prima volta, da un amico di nome Alex Parodi che con Marco Demarchi e Roby Boulard scalava su questi blocchi già negli anni ’80.

Ovviamente l’ottica era quella ‘alpinistica’ di allora, non esistevano crash-pads né scarpette iper-aderenti, per cui si tendeva a scegliere passaggi fessurati o comunque ‘facili’ per i canoni moderni. I pallini rossi che vedrete su alcuni passaggi sono un ricordo di quegli anni.

Tutto quello che ho fatto io è stato vedere con gli occhi di oggi il potenziale dell’area e pulire alcuni passaggi (non dimenticherò mai il giorno in cui, girando da solo, ho scoperto e poi pulito la stupenda linea di ‘Big Mother’).

Tutto il resto del lavoro, la scoperta dei blocchi meno evidenti, la pulizia (per fortuna non erano mai sporchissimi) e ovviamente la salita dei passaggi più duri, è tutto merito di Christian e Stella che tanto tempo hanno dedicato a questo posto, e non solo per scalare.

Dati tecnici:

Accesso:

Regione Piemonte,provincia di Torino.

Dalla Liguria:autostrada Savona-Torino, uscita “Marene-Cherasco”.

Seguire per “Savigliano-Saluzzo”, poi Saluzzo, poi seguire “Cavour-Pinerolo”, a Cavour al semaforo proseguire dritti per “Val Pellice-Campiglione”, poi “Torre Pellice”.



Da Torino:autostrada Torino-Pinerolo,al termine dell’autostrada proseguire a sinistra per Val Pellice lasciando a destra la strada per il Sestriere.

Dopo “Luserna San Giovanni” proseguire sempre dritto arrivando prima a Villar Pellice poi, poco prima di “Bobbio Pellice” girare alla deviazione a sinistra per “Rifugio Barbara”. (Dove c’è una fermata dell’autobus con ampi prati). Risalire la valle fino al rifugio dove termina la strada.

Periodo:

Da aprile-maggio fino alle prime nevicate di novembre.

Roccia:

Serpentinite. Sempre molto compatta, abrasiva e tagliente.

Prevalenza tacche.



TEL. 0121 930077 (chiedere di Roberto)

(si possono affittare crash-pads)

Gianluca Bosetti su "Dark Side of the Moon" - Gottardo (CH)


alpinisti in salita al GI, Panzeri a campo 2

GI Campo 2 - Gerfried Göschl, Louis Rousseau, Gunther Unterberger, Alex Txikon, Juanra Madariaga, José Carlos Tamayo, Stefan Zechmann, Hans, Rick (Photo www.gerfriedgoeschl.at)


ISLAMABAD, Pakistan — E’ in corso il primo tentativo di vetta al Gasherbrum I, il colosso di 8.068 metri in Karakorum. Una quindicina di alpinisti, tra cui Mario Panzeri e il suo portatore d’alta quota, l’Abc team di Gerfried Göschl, Louis Rousseau, Gunther Unterberger e Alex Txikon, e gli italiani Giuseppe Pompili e Adriano dal Cin, sono arrivati ieri a campo 2, a 6350 metri. Oggi il folto gruppo dovrebbe raggiungere campo 3 a 7050 metri di quota.

Secondo quanto riferisce Giuseppe Pompili dal suo sito internet, il gruppo ha lasciato il campo base nella notte tra domenica e lunedì. Sono partiti alle 3 sotto una bufera di neve, poi in circa 9 ore hanno raggiunto il campo 2.

“Adriano e io stiamo bene – scrive Pompili nel suo post di ieri -. Mario Vielmo e Silvano Forgiarini si sono fermati al campo 1 per mal di schiena e raggiungeranno il campo 2 domani. Con noi ci sono anche tutti quelli del gruppo di Gerfried, una giapponese (con ossigeno) e uno sherpa e Mario Panzeri con il suo hap. Domani vedremo se si può raggiungere il campo 3, valanghe permettendo”.

“Come annunciato dal dottor Karl Gabl – gli fa eco Göschl sul suo sito -, il tempo ora è migliorato e dovrebbe consentire la salita. Domani affronteremo il Colouir giapponese, sicuramente il punto chiave del GI, e arriveremo al campo 3 a 7050 metri. Sarà emozionante!”.

Nel frattempo anche sul vicino Broad Peak le spedizioni si stanno muovendo per il tentativo di vetta. Secondo il sito Explorersweb, le previsioni meteo della spedizione del DAV team, ovvero quelle di Karl Gabl, danno la finestra di bel tempo per questa settimana. Cielo sereno e venti deboli sarebbero previsti per mercoledì, quindi domani potrebbe essere anche per loro il giorno della cima.


Leavenworth Spring Fling


e Pinotti ha fatto l'acquisto!



giapponesissimo Pinotti calzante un 43 di scarpa ha acquistato un bel 39!!

no pain no gain!!


Bafio try & curse on "IL PANETTONE" Lilith 6


dalla scienza all’esplorazione, le mille facce dell’alpinismo. Daniele Bernasconi

daniele bernasconi


LECCO — A quota ottomila in nome della scienza. Daniele Bernasconi, presidente dei Ragni di Lecco, è rientrato esattamente un mese fa dalla spedizione Share Everest 2011 organizzata dal Comitato Evk2Cnr, durante la quale – con Daniele Nardi e un team di sherpa appositamente addestrati – ha installato a Colle Sud dell’Everest la stazione meteorologica più alta del mondo: un gioiello firmato dal progetto Share, che invia in tempo reale dati atmosferici da quella quota. Abbiamo intervistato lui e gli altri protagonisti della spedizione – Daniele Nardi, Agostino Da Polenza, Giampietro Verza – per raccogliere commenti, racconti, curiosità e impressioni sull’Everest e sulla spedizione che ha segnato un momento storico per l’Italia, ma anche sensazioni personali e progetti futuri. Le pubblicheremo una al giorno su Montagna.tv, proprio iniziando da Bernasconi.

Daniele, un bilancio dell’avventura Share Everest 2011?
L’obiettivo della spedizione era installare una stazione meteorologica a 8000 metri, altezza di Colle Sud. Il 19 maggio lo abbiamo fatto e ha funzionato tutto a dovere. La spedizione quindi è andata bene, poi siamo riusciti anche a portare questo nuovo sensore di vetta fino a Colle Sud e l’abbiamo testato con successo. Insomma, missione compiuta. Mancava solo la ciliegina sulla torta.

Com’è stato lavorare a 8000 metri?
Diventa tutto più difficile, un po’ per il freddo un po’ per la mancanza di forza dovuta alla rarefazione dell’ossigeno. Però si fa: siamo saliti e abbiamo lavorato per due volte lassù. Non è facile, bisogna prepararsi, anche la concentrazione risente delle condizioni estreme. Bisogna avere ben presente che cosa si deve fare, infatti abbiamo svolto degli addestramenti alla Piramide con gli sherpa, per far sì che ci ricordassimo di fare tutto, nell’ordine giusto. Eravamo anche guidati via radio da Giampietro Verza, che è stato un supporto prezioso.

Com’è andata dal punto di vista alpinistico?
L’aspetto alpinistico passa in secondo piano se sei lì per fare un lavoro importante come quello di Share Everest. E’ stata un’esperienza di lavoro, molto positiva.

Preferisci fare solo alpinismo o alpinismo e scienza?
Sono cose diverse. In modo egoistico potrei dire che preferisco il puro alpinismo, ma in realtà in spedizioni come queste si imparano molte cose, su sé stessi e sulle spedizioni, anche a livello di gestione, logistica. Si ha una dimensione diversa, si percepisce quello che l’alpinismo può fare per mondo di oggi, al di là delle soddisfazioni personali e sportive.

Ti è dispiaciuto non salire in vetta?
La vetta era un’opzione per la fine della spedizione, ma non è stato possibile tentare. Prima di tutto quando siamo risaliti a Colle Sud c’era vento quindi la montagna non era in condizioni. Poi facevamo parte di una spedizione scientifica quindi aveva senso salire con il sensore, non per sfizio personale. Per me poteva essere un obiettivo salire senza ossigeno, ma con il sensore da portare non sarebbe stato possibile, nemmeno con l’aiuto gli sherpa, perché salire con e senza implica velocità, tempi, logistiche completamente diverse. Il 19 maggio quando abbiamo attivato Colle Sud era presto, pensavamo di avere tempo per tentare di nuovo, invece il 22 maggio gli sherpa ci hanno detto che secondo loro la stagione era finita. Ci abbiamo provato ma, in effetti, è andata così.

Era la tua prima volta al campo base dell’Everest. Come l’hai trovato?
Uno zoo. Per l’enorme quantità di persone, di diversa provenienza e con diverse aspettative, e l’altrettanto grande quantità di staff che deve supportarle, da cui deriva il continuo via vai di portatori e carovane di yak che portano su cibo e portano via rifiuti. Quando arrivi non ti immagini un bordello del genere, poi mentre sei al base vai a fare qualche passeggiata e ti rendi conto del campionario di umanità che si trova lì ed è impressionante.
L’altra cosa che mi ha stupefatto è la velocità con cui è stato portato via tutto quando è finita la stagione. Non vedono l’ora di andare via sia che abbiano fatto la cima sia che non l’abbiano fatta. Gli alpinisti sono i primi, ma anche gli sherpa non vedono l’ora di tornare a valle. In pratica, prima c’erano 400 persone e poi in 3 giorni sono spariti tutti, uno dopo l’altro. Bastava mezza giornata per smontare un campo base, poi si dileguavano.

In generale l’impressione è negativa o positiva?
Piuttosto negativa. O meglio, diciamo che è un mondo a sé, volendo essere generosi. Il 95 % delle persone che sono lì non sono nemmeno alpinisti. Si intrecciano ambizioni, lavori, persone così diverse che sembra un posto lunare, a tratti fa paura.

C’è stata una grande azione di soccorso sul Lhotse mentre ti trovavi lì. Cosa hai visto?
E’ successo proprio quando siamo tornati al campo base, dalla Piramide, per la finestra di bel tempo in cui volevamo provare la cima. Siamo andati a salutare le due spedizioni spagnole, quella di Edurne e quella “composita” di Juanito e gli altri. Lì abbiamo saputo che c’era il soccorso in atto, ma le notizie erano confuse. So che sono scesi tutti piuttosto distrutti, tranne Carlos Soria. Le opinioni possono essere varie, soprattutto dovrebbe esprimerle chi conosce i dettagli. Io posso dire che ho visto molto individualismo, e che non si dovrebbe ridursi così per una salita. Non te lo ordina il dottore.

Si è parlato anche di un rapporto difficoltoso con gli sherpa per diverse spedizioni.
Come dicevo prima quel campo base è un ambiente strano, particolare… E’ la prima volta che io ho a che fare con gli sherpa. A Colle Sud abbiamo fatto un gran lavoro di squadra. Ma guardandomi in giro ho visto che sia tra gli sherpa che tra gli alpinisti ci sono persone brave e meno brave, forti e meno forti, disponibili e meno disponibili. Il fatto che girino tanti soldi, che l’aspetto commerciale sia così invadente, fa sì che capitino degli screzi.

Sono state fatte cime senza ossigeno?
Secondo la collaboratrice di Elizabeth Hawley quest’anno salite qualcosa come 400 persone, di cui nessuno senza ossigeno: i numeri danno l’idea della difficoltà. L’Everest sarà anche una salita piuttosto facile ma senza ossigeno, così in alto, se c’è freddo o un po’ di vento, ti congeli. Dev’essere proprio una giornata perfetta. Anche l’anno scorso le cime senza ossigeno si contavano sulle dita di una mano. La percentuale di gente che sale senza ossigeno diminuisce sempre, anno dopo anno.

Nel tuo prossimo futuro c’è l’Himalaya o la Patagonia?
Mi piacerebbe fare una spedizione soltanto alpinistica, visto che ora ero via a lavorare per Agostino. Visto che non ho programmato niente per il Karakorum in estate, è più probabile la Patagonia in autunno-inverno. Vedremo.

La collaborazione dei Ragni con il Comitato Evk2Cnr è storica…
Sì, il Gruppo Ragni aveva già collaborato con Agostino – che è un Ragno di Lecco – in diverse spedizioni alpinistiche e scientifiche. Questo è stato un altro passo importante, per un progetto che è di importanza fondamentale per l’ambiente e per le montagne.

L’ultima volta che sei stato in Piramide è stato tanto tempo fa. E’ cambiato qualcosa?
La Piramide è sempre soggetta a migliorie. Dal punto di vista delle attività di ricerca ho visto con piacere che si stanno espandendo, e dal punto di vista del comfort offerto ai ricercatori e agli ospiti è sempre più evoluta. Le persone che sono lì per lavorare sono messe in condizioni di farlo bene, anche lo staff è sempre più professionale.

Il momento più bello di questa spedizione?
La soddisfazione di quando abbiamo attivato la stazione meteo a Colle Sud, e abbiamo saputo che stava funzionando e trasmettendo dati. E’ stato davvero bello.


PALAGUERCI Some Shots


Jimmy Webb [Problem] Fantasia (V14, 8b+)


spettacolare seracco del Russell glacier - Groenlandia




sale e scende il Kilimanjaro in 35 ore, si parla di record?

kilimanjaro

Kilimanjaro

Tanzania — Si chiama Igor Kucherenko, è americano-russo e nella vita fa l’imprenditore nel settore delle miniere. Ecco l’identikit del nuovo “recordman” del Kilimanjaro, la montagna più alta d’Africa. Secondo il quotidiano The Guardian, Kucherenko avrebbe stabilito un record salendo e scendendo la montagna in sole 35 ore: un percorso che di solito richiede dai 6 agli 8 giorni di trekking.

Kucherenko, 42 anni, è partito alle 7.26 del 2 luglio da Mweka insieme al collega 26enne Klym Yuriy, è salito in vetta all’Uhuru peak (5895 metri) ed è ritornato al punto di partenza il giorno dopo intorno alle 18. I due avevano zaini vuoti e una guida/portatore al seguito: Elias Mwalaba che li ha scortati per tutto il tragitto.

Al momento non è molto chiaro perchè si parli di “record”, nè quale sia il termine di paragone per definirlo tale, ma il Daily News riferisce che a Kucherenko è stato assegnato il certificato Tanzania National Parks numero 133002. In realtà sito ufficiale del Kilimanjaro riporta chiaramente che la più veloce salita e discesa della montagna è stata compiuta nel 2004 da Simon Mtuy (Tanzania), salito e sceso in 8 ore e 27 minuti lungo la Umbwe Route: una differenza di tempo abissale rispetto alla prestazione dell’americano.

In ogni caso, i protagonisti ne sono assolutamente fieri. “Siamo saliti dalla via Umbwe – ha raccontato il portatore – la più dura e ripida che ci sia. Non ero sicuro che ce l’avremmo fatta, ma è stato così. E’ il più grande successo della mia carriera”. “Il segreto del mio successo sono l’impegno e la determinazione” ha detto invece Kucherenko, che aveva già salito 2 volte la montagna prima di questa performance.

Ricordiamo infine che il record di sola salita, che appartiene all’italiano Bruno Brunod salito sull’Uhuru Peak dalla Marangu Gate in sole 5 ore e 38 minuti. Esistono comunque una miriade di record non verificati e reclamati da diversi alpinisti-atleti, che hanno seguito percorsi diversi o che non sono stati certificati.