Sapreste valutare la capacità del vostro sistema polmonare e cardiovascolare di reagire alla quota? Sapevate che le popolazioni andine sono molto meno adattate alla quota delle tibetane perchè sono meticce? Che uno sforzo fisico intenso provoca la liberazione di molti radicali liberi che vanno reintegrati con frutta e verdura? E che gli studi sugli alpinisti possono aiutare la ricerca contro il cancro e l'invecchiamento? A queste e a molte altre domande ha risposto il professor Paolo Cerretelli, luminare internazionale di fisiologia d'alta quota, docente all'università di Milano e presidente onorario del Comitato EvK2Cnr.
Cerretelli, lo scorso 29 aprile, ha tenuto al Palamonti di Bergamo una conferenza in cui ha parlato degli "Aspetti fisiologici degli alpinisti di élite", illustrando gli studi da lui svolti in oltre cinquant’anni di carriera scientifica e nel corso di alcune importanti spedizioni extra-europee in Himalaya (tra le altre, Kan Jutzar, 1959 ed Everest, 1973, entrambe organizzate da Guido Monzino). L'evento, organizzato dalla Commissione Medica del Cai di Bergamo, ha riscosso molto successo perchè è risultato chiaro, stimolante e ricco di spunti utili e facili da comprendere per tutti coloro che frequentano la montagna.
Partendo dai vari cambiamenti che si verificano nell’organismo degli alpinisti in alta quota, gli studi di Cerretelli sono arrivati a spiegare molti processi connessi all'acclimatamento. Per esempio l'ipossia acuta e l'ipossia cronica, cioè brevi e lunghi periodi di permanenza in alta quota dove l’ossigeno è carente. Oppure l’incremento dei globuli rossi, le variazioni della frequenza cardiaca che è ridotta in alta quota, e la frequenza degli atti respiratori in seguito all’impatto con la rarefazione dell’ossigeno.
Un parametro da conoscere, a questo proposito, è la "VO2 Massimale", ovvero il massimo consumo di ossigeno di ognuno di noi misurato in relazione alla ventilazione. Si tratta di una caratteristica individuale di ogni soggetto, una variabile di tipo etnico, che varia a seconda dell’esposizione all’alta quota. Può essere migliorata dall’allenamento ma viene bruscamente abbassata con l’esposizione all’altitudine, a causa dell’ipossia, penalizzando la prestazione fisica. I dati sono impressionanti: a 5.500 metri, si abbassa del 35 per cento mentre all'altezza dell'Everest, 8.850 metri, si riduce fino all'85-90 per cento.
Dal punto di vista fisiologico è interessante sapere che, stando lunghi periodi in quota, i muscoli degli alpinisti vanno incontro a gravi alterazioni strutturali ed ultrastrutturali. Un fenomeno che ricorda, come ha segnalato Cerretelli, i fenomeni regressivi tipici dell’invecchiamento dell’uomo. L'unica differenza è che nell’alpinista tali fenomeni regressivi sono reversibili, mentre nell’ anziano no.
Qualche numero? Si verifica, in quota, una perdita di massa muscolare del 12 per cento circa, con una conseguente riduzione della densità dei mitocondri (-25 per cento), con accumulo di pigmenti tra i quali la lipofuscina, sostanza prodotta dallo stress ossidativo. E' interessante rilevare che tra gli Sherpa, rispetto ai soggetti caucasici, i fenomeni degenerativi del muscolo sembrano essere più contenuti.
Gli studi effettuati in quota, ha sottolinato Cerretelli, sono molto costosi. Ma hanno un riconosciuto valore, in quanto molto utili nel campo dell’invecchiamento e dell’oncologia, avendo il tessuto neoplastico un metabolismo di tipo anaerobico. Cerretelli ha anche spiegato che l’attività fisica intensa produce moltissimi radicali liberi che danneggiano l’organismo. Quindi, è meglio moderare l'attività fisica, introducendo degli antiossidanti, contenuti soprattutto nella frutta e nella verdura.
Le popolazioni che vivono in quota comprendono oltre quindici milioni di individui nel mondo. Ma tra loro vi sono molte differenze. Le genti del Tibet, per esempio, risultano essere le più adatte a stare in quota, probabilmente per il fatto di vivere ad alte quote da lunghissimo tempo e per condizioni fisiche predisposte (adattamenti positivi dell’ eritropoiesi, un più elevato picco della frequenza cardiaca ed una più elevata saturazione da parte dell’ossigeno). Le popolazioni andine, al contrario, si trovano in una situazione meno favorevole, essendo meticce. Pertanto, hanno problemi maggiori derivanti da un aumento del numero dei globuli rossi e da altre patologie associate alla loro condizione.
Cerretelli ha spiegato anche come sono stati effettuati gli studi sulla fisiologia del muscolo: tramite delle biopsie che hanno permesso di studiare dal punto di vista biomolecolare la struttura e la fisiopatologia del tessuto in alta quota. Da non molto tempo si stanno studiando le caratteristiche del proteoma, ovvero il profilo differenziale delle principali proteine contrattili e di regolazione presenti nel muscolo in relazione all’esposizione all’ altitudine, in grado di fornire nuove ed interessanti conoscenze scientifiche nel campo della fisiologia dell’ipossia. In particolare, i Tibetani risultano più avvantaggiati anche da questo punto di vista rispetto ai Caucasici.
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