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ALPINISMO D'ALTA QUOTA - Sillvio "GNARO" Mondinelli e l'Himalaya: trecento pagine di segreti

Per chi ha sognato davanti ai racconti e alle immagini delle scalate in alta quota. Per chi vuole sognare ancora, per chi vuole scoprire curiosità e meccanismi delle spedizioni alpinistiche e soprattutto per chi vuole trasformare i suoi sogni in realtà. Ecco a chi è dedicato "Alpinismo d'alta quota", il libro di Silvio "Gnaro" Mondinelli che da pochi giorni è in libreria. Pronto a svelarvi tutti i segreti dei viaggi in Himalaya e delle cime più alte del mondo.

Dall'allenamento alla vita del campo base, dalla progettazione ai costi, dai rapporti con i compagni di spedizione alla preparazione dei bidoni, dalla salita in vetta al rientro a casa. Questo libro è davvero un pezzo immancabile per le librerie degli appassionati, soprattutto di quelli che sognano di organizzarsi un viaggio in terre lontane, che si tratti di una cima o di un semplice trekking.

"Non tutti possono arrivare in cima al K2 - scrive Mondinelli -, ma ciascuno di noi può provare l'emozione di partire per una spedizione in terre lontane, conoscere persone e posti incantevoli e condividere queste esperienze con i propri amici. Questo libro è dedicato a tutte le persone che, ascoltando i nostri racconti, leggendo le nostre avventure o guardando filmati, hanno provato un misto di invidia e ammirazione: vi svelerò tutti i miei segreti, in modo che anche voi possiate, se lo vorrete, provare a vivere la vostra esperienza".

Ed ecco pronte trecento pagine di curiosità, consigli ed esperienze di vita, snocciolate con l'inconfondibile semplicità ed entusiasmo di Mondinelli. Storie che arrivano da un bagaglio di oltre 30 spedizioni, 14 ottomila senza ossigeno e innumerevoli soccorsi d'alta quota, attraverso le quali potrete immergervi nel mondo dell'Himalaya e delle spedizioni alpinistiche.

Il tutto è corredato dalle immagini mozzafiato scattate da "Gnaro", che come molti sanno è anche un eccezionale fotografo, e dai suoi compagni di spedizione; nonchè da schede
di approfondimento sugli argomenti più curiosi: geologia, telecomunicazioni ed elettricità, materiali, agenzie, gestione delle emergenze, alimentazione, meteorologia e tradizioni locali.

Perchè la montagna non è solo la cima. E Mondinelli l'ha dimostrato con i fatti: a volte rinunciando e sempre rispettando i valori dell'onestà, dell'umiltà e della correttezza. Ma anche lavorando per le popolazioni locali con la Onlus Amici del Monte Rosa, dedicandosi al soccorso in montagna e a spedizioni scientifiche come quelle del Comitato EvK2Cnr a Colle Sud, dove ha installato la stazione meteorologica più alta del mondo.

"La parte più bella dell'andare in montagna - dice Mondinelli - è tutto quello che ruota attorno alla spedizione, dal momento della scelta della meta passando attraverso tutto ciò che accade nelle settimane in cui dura l'avventura".

Un'avventura appassionante e unica, che si basa su due comandamenti fondamentali: sicurezza e divertimento. Ma vuole, come pre-requisito, una valutazione realistica delle proprie capacità tecniche e fisiche. Particolarmente interessante il capitolo dedicato ai costi e ai finanziamenti delle spedizioni, che svela un mondo spesso difficile da immaginare per chi non è mai stato in Himalaya.

Arrivato in libreria giusto in tempo per diventare un inedito e appassionante e regalo di Natale, "Alpinismo d'alta quota" diventerà il "libro di testo" della Himu, High Mountain University, la scuola d'himalaysmo che Mondinelli ha fondato alcuni mesi fa per insegnare agli appassionati come affrontare una spedizione alpinistica.

Il libro, in vendita al prezzo di 24,90 euro, è anche l'ultimo gioiello della collana di manuali di montagna della Hoepli, casa editrice del volume, che comprende già, fra gli altri, "Arrampicata sportiva" di Wolfgang Gullich, "Medicina e salute di montagna" di Annalisa Cogo o "Il monte Cervino di Guido Rey.



foto con "GNARO"




Ciao Lino!

Se n'è andato anche Lino Lacedelli. Si è spento questa notte nella "sua" Cortina, all'età di 84 anni, pochi mesi dopo Achille Compagnoni che con lui aveva condiviso la storica prima salita del K2, la seconda montagna più alta della Terra, avvenuta il 31 luglio 1954 nell'ambito della spedizione condotta da Ardito Desio. "La montagna è stata la mia più grande amica - diceva Lacedelli - la grande compagna di tutta la vita".

Lacedelli, che avrebbe compiuto 84 anni il prossimo 4 dicembre, aveva da tempo problemi di salute, seguiti ad un intervento cardiaco subito un anno fa. Un ricovero improvviso alla fine dell'estate aveva fatto preoccupare, ma l'alpinista cortinese si era ripreso velocemente facendo sperare in un miglioramente. Stanotte, però, un altro malore è stato fatale.

Nelle ultime ore si sono moltiplicati i messaggi di cordoglio. Tra i tanti c'è quello del presidente del Club Alpino italiano Annibale Salsa che l'ha ricordato come “una persona discreta e di grande onestàintellettuale, portatore dei veri valori della montagna".

In questo 2009 se ne sono dunque andati tre grandi monumenti dell'alpinismo italiano. Oltre a Lino Lacedelli e Achille Compagnoni, i primi due uomini a calcare la cima della montagna considerata la più difficile e più bella del mondo, in agosto è scomparso anche il grande Riccardo Cassin.

Nato a Cortina d'Ampezzo il 4 dicembre 1925, Lacedelli crebbe alpinisticamente sulle Dolomiti e nella sua lunga carriera alpinistica aprì numerose nuove vie, e compì ripetizioni di primo livello in tutto l'arco alpino. Durante la salita del K2 nel 1954 soffrì di gravi congelamenti per i quali dovvette subire l'amputazione del pollice.

"La montagna è stata la mia più grande amica - diceva Lacedelli - la grande compagna di tutta la vita che mi ha dato grandi soddisfazioni. Lassùsi gode una bellezza che non ha bisogno di tante parole. Ti guardi attorno e vedi tutto quello che è stato creato dal Padreterno, e questa è la cosa più bella che si può avere in montagna, in qualsiasi montagna si vada".

Per ricordare il grande Lacedelli vi riproponiamo una bellissima intervista a Lino Lacedelli intitolata "L'alfabeto rubato" contenuta nella decima puntata del tv@magazine "Benvenuti a Cortina", voluto dall'Amministrazione Comunale di Cortina d'Ampezzo, a cura di Andrea Gris e Alessandro Manaigo. Vedrete alcune delle ultime immagini di Lacedelli e sentirete i suoi speciali racconti sulla salita al K2 del 1954 e sul ritorno in quei luoghi cinquant'anni dopo, nel 2004, in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario della salita.

"La montagna non cambia mai - diceva a chi gli chiedeva se il K2 era cambiato -. Siamo noi che cambiamo".

Nel video anche alcuni backstage del film sulla storia degli Scoiattoli che verrà presentato il prossimo 7 dicembre a Cortina. Il film, della durata di 76 minuti, è stato realizzato in occasione del settantesimo anniversario dalla fondazione del sodalizio alpinistico di Cortina.



Andrea Tosi su Gargantoit sit start


Andrea Tosi su Gargantoit sit start - Fontainebleau



Alpinismo estremo ed etica: ma dove sta il valore della vita?

“Stile alpino”, “esplorazione”, “via nuova” e “leggerezza”. Ecco l’abracadabra dell’alpinismo odierno. Parole che solo a pronunciarle ti proiettano nell’elite degli alpinisti quelli veri, e che se applicate ti dispensano da qualsiasi critica perché rispondono all’etica alpinistica “giusta”. Ma, dopo l’ennesimo incidente mortale dell’anno, la domanda è inevitabile. Fino a che punto ci si può spingere? E’ giusto che nel nome di quest’etica assolutista si sottovaluti il valore della vita, o addirittura gli si giochi contro?

Siamo i primi ad amare la montagna, l’alpinismo e tutto ciò che vi ruota intorno. Lo dimostriamo tutti i giorni, nel bene e nel male, raccontando le loro storie. Lungi da noi l’intenzione di dar corda a chi usa l’infelice espressione della “montagna assassina” o a chi vede gli alpinisti come dei pazzi suicidi. Ma nei giorni scorsi ci siamo chiesti se non esista un limite.

La risposta a chi si sta domandando se non stiamo esagerando sono questi nomi. Tomaz Humar, Michele Fait, Roby Piantoni, Max Schivari, Serguej Samoilov, Oscar Perez, Piotr Morawski, Franc Oderlap, Cristina Castagna, Wolfgang Kolblinger, Go Mi Sun. E altri ancora. Non è la formazione dell’ultimo “dream team” diretto in Himalaya. Ma l’elenco dei morti degli ultimi mesi. Mesi, non anni.

“Scrivete sempre di morti”, è la frase che sentiamo ogni volta che succede un incidente. Quasi che la responsabilità dei fatti sia di chi li racconta e non di chi li fa. Quasi dovessimo far finta di niente, e continuare a guardare con i paraocchi un alpinismo idilliaco che sempre più spesso si trova a fare la conta dei caduti come un esercito in guerra. No, cari lettori. Questo non è giusto. “Noi non andiamo in montagna per morire, andiamo per vivere”, gridava Kurt Diemberger nel film “Karl”.

Ed è per questo che solleviamo la questione. Non per giudicare, ma per pensare. Per capire se questa “libertà assoluta” non sia in realtà una trappola. Una moda pericolosa, che attrae e poi tradisce. Siamo stati i primi a schierarci contro chi, di fronte alle tragedie dell’anno scorso, identificava la montagna e soprattutto gli ottomila come luogo di morte. Il dubbio è se non siano gli alpinisti stessi, in certi casi, a farlo diventare tale.

Ieri sera dipingevo, al corso di pittura, un ritratto di Simone Moro. Cinque dei trenta spettatori, tutti a digiuno di alpinismo, vedendo tuta d’alta quota e guanti, hanno chiesto orgogliosi del loro intuito: è Marco Confortola? No, dico io, è Simone Moro. Facce perplesse, nome mai sentito. Magari conoscono di più Confortola perché è della zona. Chiedo: seguite l’alpinismo? No, dicono loro, è quello a cui hanno tagliato i piedi. Non sapevano nemmeno cosa fosse il K2. Ecco l’immagine dell’alpinismo che ha la gente.

Cesare Maestri, uno che di certo non si è risparmiato in fatto di sfide al sapore di adrenalina, mi ha detto in una intervista, senza un attimo di esitazione, che “l’alpinista più grande di tutti i tempi è quello che rimane vivo”. Una lezione dimenticata?

Lo chiediamo a voi. Non pretendiamo di giudicare. E restiamo convinti che lo stile alpino, pulito e rispettoso della montagna, sia la massima espressione dell’alpinismo. Ma ancor più in alto ci dovrebbe essere il rispetto della vita. Vi chiediamo fino a che punto si debba arrivare nell’inseguire un’autodeterminazione senza limiti, un sogno a qualsiasi costo, un alpinismo che se non è senza tutto, anche senza la sicurezza dove è possibile averla, non è alpinismo.

Nei giorni scorsi parlavo con alcuni dei più forti alpinisti italiani, che stanno pianificando spedizioni per il prossimo anno. Spedizioni esplorative, ispirate allo stile alpino. Discutevano con approvazione di portarsi un medico al campo base. Negli stessi giorni, Humar, da solo su una parete sconosciuta, con un cuoco al campo base, telefonava in Slovenia per lanciare un Sos dall’altra parte del mondo. Il terzo della sua carriera. Il terzo e, purtroppo, il fatale.

Senza voler condannare nessuno, queste cose fanno sorgere delle domande. Allora i primi sono dei “vigliacchi” che non osano l’estremo, oppure è gente che ha imparato qualcosa dalla sua esperienza? E sì che tra loro c’era chi ha fatto la Sud dell’Annapurna, chi ha aperto vie nuove su ottomila e chi ne ha collezionati a iosa senza ossigeno. Nell'arrampicata le massime prestazioni, 8c, 9a e via dicendo, vengono compiute con corde e spit, e non per questo valgono poco. Perchè in Himalaya deve mancare tutto? Un paio di settimane fa ad un convegno qualcuno paventava il fatto che le previsioni del tempo e l'uso del telefonino dovessero essere considerate addirittura una forma di doping.

Ecco perchè ci si chiede se non si stia esagerando. E’ normale vedere il rispetto della vita come un limite alla libertà personale? Ci sarà chi vuole rispondere di sì. Ma provate a pensare alla stessa situazione sulle Alpi. O ad altre situazioni della vita, dalla droga alla velocità, all’uso dell’alcol, dove a volte si invoca la “libertà personale” per giustificare comportamenti discutibili,. La storia ha ampiamente dimostrato come l’idealizzazione della libertà assoluta dell’individuo, spinta all’estremo, non porti che alla confusione di valori e a un peggioramento totale delle condizioni collettive

L’alpinismo sta dunque imboccando una strada di questo genere? Sta tornando brutalmente indietro all’alpinismo eroico dove mettere in gioco la vita è un imperativo e non un’evenienza a cui opporsi con intelligenza e preparazione? Oppure è solo allarmismo dovuto a una fatale catena di incidenti capitati tutti insieme per pura casualità?

Un’ultima domanda, forse ancora più agghiacciante. Riguarda la fama e quanto ne dovrebbe conseguire. Perché l’alpinismo, ormai si sa, fa notizia soprattutto quando c’è un incidente, un soccorso, quando c’è la vita in gioco e la morte diventa un gioco. L’alpinista, danzando sul filo tra la vita e la morte, cerca il senso della vita, oppure, biecamente, la fama?

Di ieri la notizia delle due alpiniste svedesi che hanno truccato le foto per vendere cime mai fatte. Cose contrapposte, se pensiamo alle solitarie estreme di chi non vuole nemmeno che si sappia cosa si è fatto (prima di aver conquistato la vetta, però). Ma non saranno segno dello stesso malessere? Del voler dimostrare di esserci, a costo della morte, per gli ultimi “eroi”, o dell’infamia per i bugiardi?



Blocco Instabile 13/12/2009 a Pollenzo (CN)


Statale Alba-Bra 231. Svoltare direzione Pollenzo. La palestra è situata vicino agli impianti sportivi (zona campi da calcio).





nuova via al Lhotse per Moro e Urubko

Tornerà presto in campo la formidabile cordata italo-kazaka di Simone Moro e Denis Urubko, che lo scorso febbraio ci ha fatto sognare con la prima salita invernale del Makalu. Accadrà la primavera prossima, l'obiettivo sarà una nuova via sul Lhotse, 8.516 metri, la quarta montagna più alta della Terra. Lo ha annunciato lo stesso Moro, pochi giorni fa, all'International Mountain Summit, il grande evento di montagna e alpinismo che la scorsa settimana ha radunato centinaia di appassionati al Forum di Bressanone

Il progetto di Moro e Urubko sarà, come sempre, all'insegna dell'esplorazione, dello stile alpino e dell'avventura. Al momento non ci sono dettagli sul tracciato della nuova via che vogliono aprire, ma la spedizione è ormai certa. I due alpinisti si uniranno in cordata in Nepal, negli ultimi giorni di maggio, dopo aver entrambi tentato e “lavorato” su due altre vie di due diverse cime di ottomila metri, che consentiranno loro di acclimatarsi e procurarsi le risorse necessarie per pagarsi la loro avventura.

Non è un ottomila qualunque quello che proverà Moro. Tenterà infatti l'Everest, con i suoi insuperabili 8.848 metri. L'alpinista bergamasco è già stato tre volte su quella cima, nel 2000 dal Nepal, 2002 dal Tibet e nel 2006 quando ha anche compiuto da solo la traversata sud-nord. Ma stavolta vuole farlo senza ossigeno, accompagnando un amico/cliente di Brescia, Aldo Garioni, con un passato alpinistico e sci alpinistico di riguardo e che ora, da quasi un anno, sta seguendo una preparazione specifica monitorata dal Marathon sport center di Brescia, che si occupa della preparazione di atleti olimpici.

Per i requisiti tecnici e dei materiali è invece lo stesso Simone Moro che lo sta seguendo e lo preparerà al meglio all’appuntamento con la grande montagna della terra. Aldo Garioni, 54 anni, di professione notaio, è presidente da 15 anni della celebre Società Escursionisti Bresciani Ugolini, ha salito il Kilimanjaro, il Muztagata e tentato il Cho Oyu.

"Mi piace l'idea di tornare all'Everest - dice Moro - e tentare di fare la guida in modo del tutto diverso da come le spedizioni commerciali usano fare. Aldo l’ho sentito ed incontrato due anni fa, da allora sta seguendo una preparazione mirata. Troppo spesso invece nelle spedizioni commerciali si incontrano i clienti quando si è ormai al campo base. Io l’Everest voglio tentarlo senza ossigeno anche se la priorità sarà comunque quella di concentrasi sull’impegno che ho preso con Aldo. Lui si sta preparando in modo rigoroso per arrivare con un alto coefficiente di autonomia su quella montagna".

"Dopo il nostro tentativo all’Everest - prosegue l'alpinista bergamasco -, scenderò con Aldo fino a Kathmandu e ci starò per una settimana a recuperare le forze, prima di risalire nel Khumbu e tentare la via nuova con Denis. L’unica incognita sono i tempi stretti visto che il 31 maggio ho un matrimonio in Italia a cui non posso mancare…".

Anche Urubko sarà impegnato ad ottomila metri prima del tentativo con Moro. Lui sarà proprio al Lhotse, con un gruppo di giovani kazaki di cui da qualche anno è diventato "coach", per portarli in vetta dalla via “normale”. Dopo questo "acclimatamento" d'alto livello, i due alpinisti proveranno ad aprire la via nuova, in stile alpino. La partenza sarà intorno alla metà di marzo, per riuscire ad avere il tempo necessario per entrambi i progetti.