Lightbox Effect

i muscoli in alta quota

Sapreste valutare la capacità del vostro sistema polmonare e cardiovascolare di reagire alla quota? Sapevate che le popolazioni andine sono molto meno adattate alla quota delle tibetane perchè sono meticce? Che uno sforzo fisico intenso provoca la liberazione di molti radicali liberi che vanno reintegrati con frutta e verdura? E che gli studi sugli alpinisti possono aiutare la ricerca contro il cancro e l'invecchiamento? A queste e a molte altre domande ha risposto il professor Paolo Cerretelli, luminare internazionale di fisiologia d'alta quota, docente all'università di Milano e presidente onorario del Comitato EvK2Cnr.

Cerretelli, lo scorso 29 aprile, ha tenuto al Palamonti di Bergamo una conferenza in cui ha parlato degli "Aspetti fisiologici degli alpinisti di élite", illustrando gli studi da lui svolti in oltre cinquant’anni di carriera scientifica e nel corso di alcune importanti spedizioni extra-europee in Himalaya (tra le altre, Kan Jutzar, 1959 ed Everest, 1973, entrambe organizzate da Guido Monzino). L'evento, organizzato dalla Commissione Medica del Cai di Bergamo, ha riscosso molto successo perchè è risultato chiaro, stimolante e ricco di spunti utili e facili da comprendere per tutti coloro che frequentano la montagna.

Partendo dai vari cambiamenti che si verificano nell’organismo degli alpinisti in alta quota, gli studi di Cerretelli sono arrivati a spiegare molti processi connessi all'acclimatamento. Per esempio l'ipossia acuta e l'ipossia cronica, cioè brevi e lunghi periodi di permanenza in alta quota dove l’ossigeno è carente. Oppure l’incremento dei globuli rossi, le variazioni della frequenza cardiaca che è ridotta in alta quota, e la frequenza degli atti respiratori in seguito all’impatto con la rarefazione dell’ossigeno.

Un parametro da conoscere, a questo proposito, è la "VO2 Massimale", ovvero il massimo consumo di ossigeno di ognuno di noi misurato in relazione alla ventilazione. Si tratta di una caratteristica individuale di ogni soggetto, una variabile di tipo etnico, che varia a seconda dell’esposizione all’alta quota. Può essere migliorata dall’allenamento ma viene bruscamente abbassata con l’esposizione all’altitudine, a causa dell’ipossia, penalizzando la prestazione fisica. I dati sono impressionanti: a 5.500 metri, si abbassa del 35 per cento mentre all'altezza dell'Everest, 8.850 metri, si riduce fino all'85-90 per cento.

Dal punto di vista fisiologico è interessante sapere che, stando lunghi periodi in quota, i muscoli degli alpinisti vanno incontro a gravi alterazioni strutturali ed ultrastrutturali. Un fenomeno che ricorda, come ha segnalato Cerretelli, i fenomeni regressivi tipici dell’invecchiamento dell’uomo. L'unica differenza è che nell’alpinista tali fenomeni regressivi sono reversibili, mentre nell’ anziano no.

Qualche numero? Si verifica, in quota, una perdita di massa muscolare del 12 per cento circa, con una conseguente riduzione della densità dei mitocondri (-25 per cento), con accumulo di pigmenti tra i quali la lipofuscina, sostanza prodotta dallo stress ossidativo. E' interessante rilevare che tra gli Sherpa, rispetto ai soggetti caucasici, i fenomeni degenerativi del muscolo sembrano essere più contenuti.

Gli studi effettuati in quota, ha sottolinato Cerretelli, sono molto costosi. Ma hanno un riconosciuto valore, in quanto molto utili nel campo dell’invecchiamento e dell’oncologia, avendo il tessuto neoplastico un metabolismo di tipo anaerobico. Cerretelli ha anche spiegato che l’attività fisica intensa produce moltissimi radicali liberi che danneggiano l’organismo. Quindi, è meglio moderare l'attività fisica, introducendo degli antiossidanti, contenuti soprattutto nella frutta e nella verdura.

Le popolazioni che vivono in quota comprendono oltre quindici milioni di individui nel mondo. Ma tra loro vi sono molte differenze. Le genti del Tibet, per esempio, risultano essere le più adatte a stare in quota, probabilmente per il fatto di vivere ad alte quote da lunghissimo tempo e per condizioni fisiche predisposte (adattamenti positivi dell’ eritropoiesi, un più elevato picco della frequenza cardiaca ed una più elevata saturazione da parte dell’ossigeno). Le popolazioni andine, al contrario, si trovano in una situazione meno favorevole, essendo meticce. Pertanto, hanno problemi maggiori derivanti da un aumento del numero dei globuli rossi e da altre patologie associate alla loro condizione.

Cerretelli ha spiegato anche come sono stati effettuati gli studi sulla fisiologia del muscolo: tramite delle biopsie che hanno permesso di studiare dal punto di vista biomolecolare la struttura e la fisiopatologia del tessuto in alta quota. Da non molto tempo si stanno studiando le caratteristiche del proteoma, ovvero il profilo differenziale delle principali proteine contrattili e di regolazione presenti nel muscolo in relazione all’esposizione all’ altitudine, in grado di fornire nuove ed interessanti conoscenze scientifiche nel campo della fisiologia dell’ipossia. In particolare, i Tibetani risultano più avvantaggiati anche da questo punto di vista rispetto ai Caucasici.

Dave Graham

Nato nel 1981 nel Maine, uno degli stati più piatti degli U.S.A, Dave Graham, ha cominciato ad arrampicare nel ‘97 con un suo compagno della squadra di sci. “Lui scalava già, e mi ha chiesto di andare con lui al muro della nostra città. Per due settimane ci sono tornato tutti i giorni. Ho capito immediatamente che arrampicare mi piaceva un sacco. Poi i miei amici hanno cominciato a dirmi che ero bravo. Dopo due mesi ho fatto il mio primo 5.12a, dopo cinque mesi sono arrivato al 5.13a e dopo un anno sono arrivato al 5.14a, allora anch’io ho cominciato a pensare che ero abbastanza forte”.

In quattro anni Dave è diventato uno degli arrampicatori più forti degli States. E conta al suo attivo 26 vie dall’8b+ al 9a. Tra queste alcune vie famose come “Hasta La Vista” 8c\8c+, “To Bolt Or Not To Be” 8b+, “Facile” 8b+ e “The Fly” 9a. Dave forse è il prototipo del nuovo modello di arrampicatore: uscito da una palestra sintetica, superdotato, ipermotivato e già capace di passare dove la nuova generazione ha trovato il suo limite.

“Quando ho cominciato facevo solo boulder, perché non sapevo usare la corda e perché i blocchi sono la cosa piu vicina a casa, a due ore di viaggio. Poi ho imparato a usare i nuts e i friends, così ho cominciato a fare un po’ di ‘traditional climbing’. Solo dopo sono passato alle vie sportive. Ma la mia attività preferita continua a essere il bouldering, solo lì riesco ad esprimermi al massimo. Infatti boulder o vie corte e ‘boulderose’, queste sono le cose più dure che ho fatto dalle mie parti.”

“Negli U.S.A. le cose funzionano come qui in Europa, la nostra federazione non è molto attiva, il nostro stato non fa nulla a favore degli arrampicatori. L’arrampicata per noi (giovani, N.d.R.) è considerata come una attività ricreativa alla stregua dello skate-board o dei videogiochi. Quando devo spiegare ai miei professori che ho bisogno di due settimane di break per andare a scalare mi fanno un sacco di problemi, se dovessi andare a giocare a baseball, invece, non ce ne sarebbero.“Riesco a vivere con i soldi che mi danno i miei sponsor (5-10, Prana, Pusher, Cordless, Sterling, Metolius), ma questo perché non mi concedo nessuna spesa extra, ci sto dentro al pelo. Quindi adesso che ho finito il Liceo penso che m’iscriverò all’Università. Mi piacerebbe fare qualcosa come architettura o design. In ogni caso voglio un lavoro che mi consenta di continuare a scalare, e anche una facoltà universitaria che me lo consenta. Ma all’università l’arrampicata non dà punti, (negli States gli studenti guadagnano dei voti se praticano uno sport, N.d.R.) quindi per guadagnare un po’ di punti dovrò mettermi a giocare a baseball.

“È difficile stabilire chi è un professionista e chi no. Conosco dei non professionisti che scalano tanto quanto dei professionisti, o magari di più. Poi c’è in giro un sacco di gente che si dà delle grandi arie e che, perché viaggia su gradi dove gira poca gente, si sente legittimata a dare dei gradi assurdi. Io prima di affermare che una delle mie vie è 8c devo sudarmela veramente.



qui sotto il video in esclusiva per CLIMBING ADDICTED dei sassi The Buttemilker & Spectre
al Buttemilks CA



rifugio a forma di cristallo al Monte Rosa

news from ZURIGO, Svizzera -- Un rifugio luccicante, ultramoderno e sopratutto ecosostenibile. Ecco cosa sarà la nuova Capanna Monte Rosa, che il Club Alpino Svizzero sta costruendo sul versante elvetico della montagna, a 2.883 metri di quota, su una terrazza panoramica affacciata verso il Cervino. Il progetto del rifugio, che avrà la forma di un cristallo, è stato elaborato da studenti e professori del Politecnico di Zurigo.

L'idea di rinnovare questa capanna è nata nel 2003, in occasione del 150esimo anniversario del Politecnico, da due docenti: Andrea Deplazes e Meinrad K. Eberle, che poi l'hanno portata avanti coinvolgendo gli studenti. Oggi il rifugio, che sorgerà incastonato tra i ghiacciai di Gorner, Grenz e Monte Rosa, è in fase avanzata di costruzione.

Il rifugio avrà un aspetto del tutto futuristico. All'esterno sarà ricoperto di pannelli metallici che regaleranno riflessi come di cristallo. All'interno il rifugio sarà di legno, con un interessante mix architettonico di tradizione e modernità.

Ma la più grande innovazione riguarda l'energia: il 90 per cento del fabbisogno energetico è soddisfatto con l'energia solare e, per come è stato studiato, il nuovo rifugio produrrà solo un terzo delle emissioni rispetto al passato. E anche durante la costruzione, si è cercato di compiere le scelte maggiormente compatibili con l'ambiente.

Moro e Urubko ricevono l'Eiger Award

news from GRINDELWALD, Svizzera -- Diciamoci la verità, i dubbi erano pochi. Dopo la prima invernale al Makalu, Simone Moro e Denis Urubko si sono presentati all'Eiger Award dopo un'impresa che, anche considerata singolarmente, ha poche rivali. E infatti hanno stravinto, conquistando la maggior parte dei voti del pubblico che ha eletto i vincitori tramite un sondaggio online. Il prestigioso premio, che vuole essere un riconoscimento alla carriera e al merito alpinistico, è stato consegnato all'alpinista bergamasco da Chris Bonnington sabato sera.

"Ho appreso la notizia con vera e sincera gratitudine - ha detto Moro -, perché finalmente vedo usare un metro di valutazione diverso e molto profondo: non è solo un premio ad una grande impresa ma a un'intera carriera, a un modo di fare alpinismo. E poi è anche un premio all'amicizia, al mio rapporto con Denis Urubko. E idealmente va anche ad Anatolii Boukreev, grazie a cui ho conosciuto Denis".Dopo aver ritirato il premio dalle mani di Bonnignton, icona vivente dell'alpinismo esplorativo in alta quota, Moro ha ringraziato pubblico, organizzazione e votanti, con un emozionante discorso in cui ha raccontato i rischi e le difficoltà dell'alpinismo esplorativo e le esperienze d'alta quota vissute con Urubko, che purtroppo non ha potuto presenziare alla serata. "Da ormai dieci anni questi due alpinisti sono impegnati nell'attività alpinistica come le due estremità di una stessa corda in grado di unire altrettanti continenti - si legge tra le motivazioni del premio -. La prima invernale del Makalu è una pietra miliare nella storia d’alpinismo. È una delle ragioni per cui avete meritato pienamente l’Eiger Award 2009. Ma c’è un’altra ragione, molto più profonda e che ci ricorda i veri valori dell’andare in montagna e dell’essere umani: l’importanza dell’amicizia".Gli altri concorrenti in lizza per il premio erano il tedesco Kurt Albert e lo svizzero Daniel Anker. Il primo vanta numerose prime ascensioni sulle grandi pareti del mondo, ed è tra gli autori di "Royal Flush", sulla parete est del Fitz Roy. Il secondo è il detentore del maggior numero di vie aperte sulla parete nord dell'Eiger. Durante la serata di sabato a Grindelwald, è stato assegnato anche uno Special Eiger Award dedicato alla cultura al fotografo di montagna Robi Bösch. L'Eiger Award , alla sua seconda edizione, viene assegnato direttamente dal pubblico attraverso una votazione online. La prima edizione è stata vinta a Ueli Steck il 30 maggio dell'anno scorso e ha avuto luogo all'interno delle celebrazioni per l'anniversario dell'Eiger. I criteri secondo i quali viene premiato il vincitore corrispondono al "fascino delle sfide mentali e fisiche delle imprese alpinistiche", "all'alto valore dell'esperienza e dell'avventura in montagna" e "al valore delle montagne e dell'alpinismo come fonte di relax, creatività e ispirazione".


intervista a Daniela Feroleto

Raccontaci un po' di te, quanti anni hai, se studi o lavori, quali sono i tuoi hobbies.

Ho 23 anni, mi sono laureata all' Accademia di belle arti tra un lavoretto e l' altro, e ora continuo a studiare per prendere l' abilitazione nelle materie artistiche. La mia più grande passione in assoluto è la scalata! Poi mi piaceva fotografia, il cinema e il teatro...e tanto altro.

Come hai iniziato e quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a praticare questa attività sportiva?

Ho iniziato con Davide (Zac) che mi portava spesso a vedere quegli strani omini sui muri dei giardini Govi! Da lì ho voluto provare anche io, e anche se in fondo non mi rendevo conto di cosa fosse questo sport mi piaceva cercare di capire i miei movimenti e tentare di riuscire a fare passaggi sempre più difficili. Nello stesso tempo sentivo che anche nella vita mi aiutava a essere più determinata. Il corso con Gianni è stato l'ulteriore conferma che questo"doveva" essere il mio sport! Vederlo scalare è stato così emozionante che ancora oggi lo considero come un maestro.

Ritieni sia importante l'allenamento in palestra?

L'allenamento in palestra è basilare sia per chi ambisce all'alto livello che
per il principiante, perchè insegna a muoversi e stimola la fibra! Sicuramente
scalare su roccia dovrebbe essere la prima cosa in assoluto , ma quando come
nel mio caso i trucchetti tecnici non bastano più e il braccino non chiude abbastanza, l'unica soluzione è allenarsi!


Cosa pensi dell'arrampicata in Liguria e cosa pensi di Finale e Albenga?

Finale per me resta sempre Finale perchè è pervasa dalla magia dei primi arrampicatori liguri e dalle mani di Berhault e altri personaggi epici che hanno toccato quell'ostile calcare bianco che sembra volerti respingere! Albenga è molto bella e ha permesso di scalare con uno stile molto diverso, e vista la raritàdi strapiombi in liguria, Castelbianco è un bel settore, per lo meno fino a un certo livello. I gradi forse a volte sono un pò severi, e penso che chi chioda oggi dovrebbe considerare che , proprio perchè lo sport è in crescita, non ha molto senso sottogradare le vie. Il grado dovrebbe essere più o meno condiviso e "reale", altrimenti invece di migliorare (visto che i gradi vengono abbassati spesso) si torna indietro! Non c'è tanto lo stimolo a provare di più e aumentano i miti di vie durissime che nessuno osa nemmeno col pensierodi poter fare .

Sappiamo che sei appena tornata da Kalymnos; spiegaci come mai questo posto
meraviglioso ha la nomea di avere delle vie bellissime con difficoltà molto
basse...... oppure sono solo fantasie degli arrampicatori?


Kalymnos è così stupenda che parlare di gradi è u n delitto! detesto sentire
continuamente che lì le vie te le porti vie facilmente. Io so di sicuro che sono stupende e che essendo attrezzate da chiodatori di tutto il mondo ci sono
quelle più facili, ma è anche vero che molti tiri sono stati scalati da Sharma, Graham, Millet e company: se non li hanno sgradati loro perché dovrei farlo io!! C'è da dire che, essendo presenti vie di super continuità ben chiodate e intuibili a vista, diventi facile sgradare. Comunque la nuova guida ha già
sgradato molti tiri!


La via che ti ha emozionato di più? E quella che al momento è dentro ad un cassetto?

Crazy mix, il mio primo 8a, perché non avrei mai pensato di far e questo grado
e perché l'ho provata senza nessuna presunzione di poterla fare, ma inaspettatamente mi è riuscita. Nel cassetto non c'è una via, al momento rifletto sui miei punti deboli e con la scusa del maltempo prendo tempo!
Vorrei fare una bella via strapiombante!


Cosa ti aspetti dal futuro?

Non mi aspetto niente, più che altro sogno e spero di avere sempre la salute
fisica per poter pro gradire. La motivazione è alta e continuerò ad impegnar mi
per provare emozioni sempre più forti!





Chris Sharma il vero climber anti star

BERGAMO -- E' uno dei climber più forti del momento. Nonostante sia ancora giovane, Chris Sharma è ormai un mito per molti, in Italia come in Spagna e soprattutto in America, da cui proviene. Osannato spesso come "enfant prodige", vanta in curriculum numerose salite di grado 9A. Un grande talento, un giovane modesto e semplice. Ecco l'intervista rilasciata alle telecamere di Montagna.tv durante l'ultima edizione del Trento FilmFestival.

Trento, ore 9 del mattino. Sharma è reduce da una serata di festa, una delle tante che si sono svolte durante l'ultima edizione del Trento FilmFestival dove lo abbiamo incontrato. Degli altri "divi", ospiti della manifestazione trentina, a quell'ora del mattino non si vede neanche l'ombra. Ma lui arriva puntuale all'appuntamento nella hall dell'albergo.

Chris Sharma è un ragazzo modesto, educato, pacato. Parla di sè, della sua storia con grande semplicità, come se la sua esperienza fosse quella di tutti, fosse comune, nella norma.

"Quando avevo 12 anni sono andato in una palestra d'arrampicata vicino casa mia, a Santa Cruz - racconta -, tanto per fare qualcosa. Poi è finita che me ne sono innamorato".

Sharma ha raggiunto i massimi livelli dell'arrampicata sportiva e oggi è davvero uno dei più forti. Il suo modello? Non i suoi grandi predecessori, o quanto meno non solo. "Per me il miglior climber non è necessariamente quello che fa le cose più difficili - dice infatti -. Preferisco quelli che usano l'immaginazione, che scalano in modo passionale".

L' ortica dei climber: l'Edera velenosa

di Kelios Bonetti


L'ortica dei climbers: l'edera velenosa.

Da qualche tempo si parla dell’edera velenosa. Nelle falesie nostrane circolano solo delle voci, molto simili alle leggende metropolitane, mentre in America i climber la riconoscono a vista come noi riconosciamo le ortiche (50 milioni di casi ogni anno negli USA). Dato il numero crescente di episodi, mi sono deciso a scrivere questo articolo anche se non si tratta di una patologia arrampicatoria in senso stretto. In particolare mi ha colpito l’episodio di una comitiva di giovani climber finita al pronto soccorso dopo essere stati alla "Grotta dell’edera" a Finale. In verità alcune testimonianze e alcune foto sembrano mostrare anche la presenza del poison oak, un arbusto con effetti simili.

Il contatto con questa pianta porta a una dermatite allergica da contatto con formazione sulla cute di flittene (bolle). La guarigione è abbastanza lenta, e con la cute rovinata si deve sospendere per un po’ l’attività arrampicatoria per la fragilità della pelle e per il rischio di infezioni delle piaghe che restano se si rompono le bolle. Inoltre la cute interessata rimane per diverso tempo con delle poco estetiche striature scure.

(per chi ha tempo per leggere) L'Edera velenosa (Toxicodendron radicans), è una pianta della famiglia delle Anacardiaceae.Non ha nulla a che vedere con l' edera comune (Hedera helix). Determina dermatite da contatto. Si presente sotto le forme di pianticella fino a 120 cm, o arbusto, o rampicante. Come si può vedere dalle foto le foglie a seconda del periodo di maturazione hanno forme e colori diversi. È tipica del nord america, ove predilige terreni rocciosi con una buona umidità, cresce sotto i 1500 metri di altitudine. Produce delle infiorescenze bianche a piccole bacche.

Tutta la pianta secerne (ma soprattutto contiene al suo interno) una resina ricca in urushiolo un irritante della cute, responsabile di una dermatite da contatto su base autoimmune. L’urushiolo si lega a delle proteine della membrana cellulare e le modifica facendo sembrare al corpo che siano estranee, così il corpo produce contro di degli anticorpi per una risposta T-mediata, auto dannengiandosi. Può causare anche reazioni anafilattiche. Il 20% circa della popolazione ne è immune in America, in Europa la percentuale è probabilmente molto più bassa.Come tutte le reazioni allergiche ha bisogno di un primo contatto con l’antigene. In seguito in un periodo di 5-10 giorni il corpo crea delle immunoglobuline, che vengono poi liberate nei contatti successivi dando luogo alla reazione allergica-autoimmune, che in 6-24 ore si manifesta con un rash cutaneo, arrossamento, gonfiore, prurito più o meno intenso e la formazione di papule, flittene e bolle contenenti un liquido chiaro. Le bolle guariscono in 1-2 settimane, talvolta lasciano delle cicatrici discromiche. Talvolta le bolle o le ulcere che esitano dalla loro rottura si infettano. La tempistica delle manifestazione è influenzata da molte variabili.

È pericolosa anche l’ingestione della pianta e l’inalazione dei suoi fumi. La resina rimane attiva per anni, quindi anche il contatto con piante sradicate, animali, indumenti o materiali impregnati di resina può dare delle reazioni.

Cosa fare: dalla A alla Z

Prima rientrare in contatto:
▼Imparare bene a riconoscerla guardando le fotografie (non sedendoci sopra). ▼Quando possibile estirparla, togliendo anche le radici.
▼Si raccomanda l’uso di guanti, attenzione agli avambracci.
▼Informare anche gli altri climber.
▼Sarebbe consigliabile posizionare un cartello di avvertimento in ogni falesia infestata.
▼Lavare abbondantemente la parte il prima possibile con acqua e sapone, essendo una resina non idrosolubile l’acqua da sola non basta (ma meglio che niente).
▼Utilizzare possibilmente entro 30 minuti dei solventi specifici per questa resina dei tensioattivi non ionici, ad esempio Triton X-100.
In America tra i climber è molto utilizzato un prodotto denominato Teknu.
Questi prodotti sciolgono la resina contenente urushiolo, e devono essere poi rimossi dalla cute con acqua dopo 30 minuti.
▼Attenzione ai solventi alcolici, taluni credono che aumentino la penetrazione della resina nella cute.
▼Se appaiono arrossamenti ghiaccio a cicli di 10 minuti ( o meno se la cute è compromessa) avvolto in un panno asciutto.
▼Rivolgersi ad un medico al pronto soccorso (non esiste un vaccino) o a un dermatologo (portategli pure questo articolo) che inizieranno a seconda della sintomatologia un trattamento con antistaminici e o cortisonici, topici o per via orale.
▼In taluni casi il vostro medico potrebbe eseguire un intervento di svuotamento delle bolle in sterilità e una alcolizzazione della membrana per diminuire il rischio di rottura con la formazione di un ulcera ad alta possibilità di infezione. ▼Non è stata provata l’efficacia di tale trattamento, pur essendo teoricamente corretto se eseguito con presidi di disinfezione ambulatoriale.
▼Monitorare le bolle e le ulcere, l’instaurarsi di segni di infezione pone l’indicazione per l’inizio di una terapia antibiotica specifica per stafilococchi e streptococchi.
▼Lavare bene i vestiti e l’attrezzatura.
▼Un normale detergente e un lavaggio in acqua calda (sconsigliabile sulla cute per non peggiorare i fenomeni infiammatori) generalmente riesce a rimuovere l'urushiolo.


Climbing Festival 2009 - Cuneo 18/19/20/21 giugno 2009

2° Climbing Festival della Provincia di Cuneo

Moschettoni, corde, tacche e polvere di magnesite.
Alle Vele di Chiusa Pesio si sta per alzare il sipario sul nuovo “Climbing Festival della Provincia di Cuneo”. Dopo il primo evento “di rodaggio”, che l’anno scorso raccolse appassionati e curiosi oltre ogni aspettativa, l’organizzazione rilancia oggi con la stessa formula di gara e ancora più spazio ad amatori, famiglie e bambini.La filosofia è sempre la stessa, avvicinare a questo bellissimo sport il maggior numero di persone, dimostrare che grandi nomi – e quest’anno ce ne saranno di veramente grandi – e semplici appassionati possono andare a braccetto, mescolarsi e vivere questa tre giorni di sport in modo sereno e divertente.Rimane invariata la formula della gara vera e propria, dove “pro” e amatori si mescoleranno per lanciarsi su boulder, difficoltà, total dry, velocità e slacklining, ma la novità più importante di questa edizione 2009 è certamente il “Climbing Festival Junior”.
“L’idea di fondo – dicono gli organizzatori – è semplice: questo evento non è mai stato pensato come una competizione tra professionisti, chiusa ad un giro ristretto di persone. Il festival ha un altro obiettivo, mescolare chi già sa cosa vuol dire arrampicare a chi non ha mai visto come si usa una corda in vita sua. Per questo abbiamo deciso di creare un piccolo circuito per i bambini. L’anno scorso erano tanti, quest’anno c’è un’intera sezione del festival dedicato a loro”.Sarà la mascotte “Climby” – e un congruo numero di istruttori qualificati – a guidare i più piccoli alla scoperta di tre discipline in tutta sicurezza: l’arrampicata, la mountain bike e la ginnastica artistica. In un’area dedicata i bambini saranno seguiti dalle guide alpine “ChiodoFisso”, da istruttori della “Cuneoginnastica” e dai maestri di mountainbike dell’associazione "Natura360". Il tutto mentre padri e madri si potranno “rilassare” arrampicando sui muri e sui funghi allestiti nell’area delle Vele.Naturalmente oltre ad utilizzare muscoli e a consumare le suole delle scarpette, i climbers del Festival avranno molte occasioni per incontrare i grandi ospiti di questa edizione, partecipare a serate con videoproiezioni a tema, festeggiare ai party… insomma veder appagata la propria voglia di montagna a 360 gradi. Occhio, quindi: le preiscrizioni partiranno a breve... Rimanete sintonizzati su Climbing Festival Cuneo


Rotterdam - Riproduzione del Monte Cervino: Il boulder più alto d'Olanda

1350 mq indoor + 1250 mq outdoor

altezza massima 35m




grazie a Giulio per la segnalazione.


Maurizio Oviglia - CapoTesta - Sardegna


Maurizio Oviglia
CapoTesta - Sardegna
Foto Giampaolo Mocci



arrampicare in Olanda e dintorni


a questo link avrete la possiblità di zoommare per poter vedere precisamente dove si trovano le pareti arificiali e le sale boulder olandesi.

un grazie a "Giulio"
del blog "Pastapippo (cose d'olanda)" per la segnalazione!!


Mario Merelli ricorda la rinuncia a 100 metri dalla vetta del Manaslu

news from KATHMANDU, Nepal -- "Pensavamo fosse una montagna più facile. Pensavamo che esistessero ancora alpinisti veri. E invece, non ce ne sono più. Si poteva rischiarla, e forse ce l'avremmo anche fatta. Ma siamo ancora di quella generazione che guarda al ritorno e non punta solo alla cima. Non ho mai rimpianto i 100 metri passati, e non rimpiangerò questi". Così Mario Merelli parla della spedizione della primavera 2009 al Manaslu. E racconta la dura salita verso la vetta, la difficile rinuncia a 8000 metri, e la complicata discesa per il malore di un compagno e il dolore per la perdita di un altro, Giuseppe Antonelli.

L'intervista è stata girata a Kathmandu, nei giardini dell'Annapurna Hotel, lo scorso 7 maggio. Merelli, con Marco Zaffaroni e Marco Rusconi, aveva concluso da pochi giorni il lungo trekking di rientro dal campo base e si accingeva a rientrare in Italia. Ha ancora il dolore dipinto in viso per l'amara conclusione, qualche giorno prima, della spedizione al Manaslu.

"E' difficile che la gente capisca finchè non prova a rinunciare a 80-100 metri dalla cima - racconta Merelli -. Sulle Alpi non è la stessa cosa. L'ossigeno c'è, il freddo è meno, insomma 100 metri sono un breve salto. Invece a 8000 metri sono un'ora e mezza, da fare stanchi e in condizioni difficili. Non ho mai rimpianto i 100 metri passati e non penso rimpiangerò questi. Ci sono dei segnali che ti arrivano quando sei lassù. Sono anni che vado in Himalaya, e ormai sono convinto che chi muore qui, non per incidenti e cause naturali ovviamente, è perchè non è stato capace di recepire questi segnali".Merelli parla poi del tentativo di fine aprile, del duro lavoro per attrezzare la fascia ghiacciata sopra il campo 3, del dietrofront a pochi metri dalla cima e della difficile discesa. In conclusione, si lascia andare ad un commosso ricordo di Giuseppe Antonelli, compagno di spedizione deceduto improvvisamente a campo 2 per una probabile trombosi. Merelli, Zaffaroni e Rusconi hanno appreso della sua morte durante la discesa e dopodichè hanno deciso di rientrare in Italia.

trekking Dolomiti - Croda da lago

Partenza: Ponte di Rucurto tra Cortina e il Passo Giau
Arrivo: Idem
Dislivello: 750m
Tempo: 4h30'
Difficoltà: E
Cartografia: Tabacco (Foglio 03)

Lasciata la macchina all'altezza della località "Ponte di Rucurto" (1708m), lungo la statale che da Cortina porta al passo Giau, si prende il sentiero 437 che, in leggero saliscendi immerso nel bosco, porta fino in prossimità della Croda (20 min circa). Passato un ponticello su un bell'orrido (ho sempre sognato di scriverlo!) si incontra un bivio.Si prende il sentiero 435 che attraverso la val Formin sale verso Forcella Rossa del Formin (2461m), punto più alto dell'escursione (ore 2,5).

Il sentiero non presenta nessuna difficoltà alpinistica, ma nonostante questo rende molto l'idea di montagna. Superba la vista sui Lastroni di Formin. Dalla forcella il sentiero comincia a scendere per un breve tratto ripido che muta presto in un sentiero via via più largo fino ad arrivare alla forcella Ambrizola (2277m) (stupendo panorama del lago). Qui si prende sulla sinistra il sentiero 434 che in mulattiera arriva al Rif. G. Palmieri (2046m). Consiglio ai più esperti (discesa impegnativa) di non arrivare fino alla forcella Ambrizola, ma di tenere la sx per l'unica forcella che si vede accessibile (diverse tracce di sentiero). Da quest'ultima lo sguardo spazia dal Pelmo e Civetta fino alle Tre Cime di Lavaredo. Dalla forcella si scende per ripido canalone fino al sentiero 434. Lasciato il Rif. dopo un tratto piano si affronta una ripida discesa in comodo sentiero immerso nel bosco che riporta al ponticello incontrato al mattino.

spedizione valtellinese del Cai all'Alpamayo

SANTA CATERINA VALFURVA, Sondrio -- Una spedizione valtellinese del Cai di Santa Caterina Valfurva è in partenza per l'Alpamayo, una delle cime più belle e famose della Cordillera Blanca e delle Ande peruviane. Il gruppo, composto da 12 alpinisti, lascia l'Italia oggi, 28 maggio.

l gruppo è composto di una decina di valtellinesi, un bergamasco e una alpinista altoatesina. Partiranno per il Perù sabato 30 ma prima di avvicinarsi all'Alpamayo punteranno ad altre vette di oltre 5.000 metri per acclimatarsi.

La prima sarà l’Urus, una cima di 5.495 metri. Poi all’Ishinca, un'altra montagna di 5.550 metri. Quindi torneranno a Huaraz per poi trasferirsi a Vaqueria, località da cui parte il percorso di avvicinamento al Campo Base dell’Alpamayo, la vetta di 5.947 metri di altezza meta della spedizione valtellinese.

Con un trekking a piedi di circa 2 giorni e mezzo raggiungeranno il campo base del monte, che tenteranno di scalare in 5 giorni. Il gruppo dovrebbe poi far ritorno in Italia il 17 giugno.

arrampicare indoor ad Amsterdam

Dal blog "Pastapippo (cose d'Olanda)" mi è arrivata una segnalazione riguardanti 2 centri sportivi per l'arrampicata indoor e sala boulder.


De Klim Muur