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Rain Rongpuk jumping in front of Kailash


GLI SPETTACOLALRI - Gurla Mandhata


Gurla Mandhata, o Naimona'nyi o Memo Nani ( cinese : 纳木那尼峰) è la vetta più alta del Himal Nalakankar , un sotto insieme piccolo del Himalaya . Si trova nella contea di Burang della prefettura di Ngarinella regione autonoma del Tibet della Cina , vicino al nord-ovest del Nepal . E' la 34esima vetta più alta nel mondo (con 500 metri di prominenza di taglio). Si trova approssimativamente tra Lago Manasarowar dalla vetta del sacro monte Kailash . Il nome tibetano, Naimona'nyi

video della salita lampo di Ueli Steck allo Shisha Pangma


nord e sud senza ossigeno: Gnaro nella storia

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LHASA, Tibet -- E' il secondo europeo dopo trent'anni a salire l'Everest da entrambi i versanti senza ossigeno. Soltanto otto persone al mondo sono state capaci di tanto. Silvio Mondinelli, con la recente salita all'Everest, è entrato nuovamente nella storia. Ma dal campo base, l'alpinista afferma: "Ce l'abbiamo fatta perchè siamo sempre rimasti uniti. Ci siamo aspettati e siamo arrivati in vetta tutti insieme, lasciando gli ultimi metri a Michelino e Marco che salivano per la prima volta. Anche Gerlinde è stata importante: non potevamo mica mollare se lei andava avanti!!". Ecco racconti e commenti nell'intervista di Montagna.tv.

Mondinelli, un commento a caldo...
Siamo uno squadrone: vecchi e giovani, tutti insieme sulla cima. Adesso siamo al campo base, stiamo tutti bene e siamo contenti. C'è chi ha già fatto la doccia chi ha bevuto l'acqua minerale, chi si sta rimettendo in ordine e facendo la barba... Ne hai bisogno perchè quando torni dalla cima non sai più chi sei, un po' per la quota un po' perchè non mangi e bevi da giorni.

Come è andata la salita?
E' stata dura. Salendo, a campo 3 abbiamo dormito in una tenda tutta rotta con i paletti fatti da bastoncini da sci. Il tempo poi era piuttosto brutto, ma per fortuna la temperatura era abbastanza alta e non faceva troppo freddo. C'era la spedizione di Kari Kobler che andava in cima e così abbiamo tentato. E' andata bene.

Dura, ma da campo 3 scrivevi che mangiando una mela ti sentivi in paradiso...
Sì... che dire. Sono le piccole cose che fanno bella la vita. A noi non servono Ferrari e Yacht...

Siete arrivati in vetta tutti insieme?
Sì è stata la cosa più bella. Ci siamo sempre aspettati e siamo saliti tutti insieme. Gli ultimi metri abbiamo mandato avanti Michelino e Marco, che erano giovani e l'Everest non l'avevano mai salito. Per loro è stato speciale. Peccato che era brutto e abbiamo fotografato solo 4 bandierine in terra, sulla cima. Ma va bene così.

Con voi c'era anche Gerlinde Kaltenbrunner?
Sì, è davvero una macchina da guerra. E' stata fortunata a trovare noi, se no era da sola, e noi a trovare lei: la sua presenza ci ha anche spronato. Quand'era più dura, magari pensavi di mollare poi dicevi: e no, non posso mica mollare, c'è una donna con noi! Scherzo. Però insomma siamo stati fortunati, anche se la discesa non è stata bella.

Problemi?
Ci sono stati brutti momenti nello scendere. Abbiamo trovato un'ora di bufera fortissima e, insomma, quando non hai più energia è difficile. Però siamo sempre stati uniti. Abele, il saggio, che ci ha tenuto calmi due mesi, prima di partire da campo 3 ha detto: "se stiamo vicini portiamo casa la cima". Così facendo abbiamo salvato anche la pelle. Ma sai cosa c'è di brutto? Che abbiamo già dimenticato le fatiche...

Quindi pronti per un'altra cima?
Eh sì... te le dimentichi così in fretta che poi sei subito pronto per ripartire, anche se il fisico è provato. In cima ti abbracci, piangi e non t'interessa niente del resto. Adesso non so cosa farà Abele, aveva in programma di andare all'Annapurna... se va ha proprio una bella testa, una gran voglia, perchè dopo due mesi qui, non è facile tentare un altro ottomila.

Sai che con la salita di ieri sei entrato nella storia? Solo otto persone sono salite da entrambi i lati dell'Everest senza ossigeno.
Davvero? Non lo sapevo nemmeno... comuque, record o non record, credo che siamo una combriccola di umili e questa è la cosa più bella. Senza inventare tante storie, l'altra notte siamo partiti che era brutto. Era un po' di giorni che c'era quasi la testa di mollare, l'attesa è stata lunga. Ma abbiamo tenuto duro pensando che fosse da stupidi tornare a casa dopo due mesi passati ad aspettare il bel tempo.

E ci siete riusciti...
Abbiamo avuto fortuna, perchè non era freddo, poi anche preparazione, testa, ma siamo sempre stati umili. Non abbiamo chiacchierato ma fatto i fatti. Andare in cima all'Everest senza ossigeno non è una cosa facile, ci vogliono tante componenti. C'era una banda di valdostani che stava facendo il giro del Kailash tra cui la moglie del Marco, sai che strisciano per terra per pregare. Gli abbiamo detto di strisciare due volte al giorno per noi, forse è anche merito loro...

E' molto discussa la salita in vetta del 13enne, Jordan Romero. Tu che hai un figlio di quell'età cosa ne pensi?
C'era anche Marc Batard che tentava il record in non so quante ore, ma è tornato indietro. Il ragazzino non l'ho incontrato, ma ho già detto a mio figlio che se fa l'alpinista mi sente... No seriamente. In generale, credo che i record siano anche belli perchè innalzano il livello e le persone. Ma un bambino di 13 anni in cima all'Everest... Non so che cosa voglia dire. Non mi interesserebbe proprio che mio figlio ci arrivasse, soprattutto per un motivo così.

Il record?
Sì, la montagna non è solo record: è bello salire, fare foto, stare con gli amici. Non è una competizione in pista. E' anche rispettare delle regole, preoccuparsi dell'ambiente, saper gestire il fisico. Allora sì è una bella esperienza. Guarda Abele: poteva andare all'Annapurna dove tutti finivano i 14 ottomila e invece ha voluto tornare qua e non usare l'ossigeno. E' da ammirare. Lui ha portato Marco e io Michelino... o Michelino ha portato me, non so bene come è andata. Comunque c'è da ringraziare tante persone, a partire da Kari Kobler che ci ha aiutato in questo periodo, ci ha fatto le previsioni e ci ha ospitato nelle sue tende. C'è un lavoro di tantissime persone anche di chi ci hanno dato i soldi, non mi piace dire sponsor, è gente che ci ha aiutato ad andare in cima, senza di loro non saremmo stati qui.


La notizia del record di Mondinelli arriva dagli archivi di Eberhard Jurgalski, che ha ricostruito la storia degli uomini che hanno salito Everest da nord e sud senza ossigeno. Il primo è stato Messner, salito da Sud nel 1978 e da Nord nel 1980. Poi ci sono stati l'australiano Timothy Macartney-Snape, i nepalesi Ang Rita Sherpa e Lhakpa Dorje III, il kazako Anatolii Boukreev, l'americano Ed Viesturs e l'ecuadoreno Ivan Vallejo.


Panzeri torna allo Shisha Pangma con Compagnoni

"Per l'ennesima volta tornerò allo Shisha, e speriamo che sia quella buona". Parte determinato ma sorridente Mario Panzeri, che tra pochi giorni partirà per il Tibet alla caccia del suo undicesimo ottomila senza ossigeno. Con lui, una squadra di otto persone capeggiata da Alberto Magliano, che vede tra le sue fila anche il valtellinese Michele Compagnoni che si acclimaterà sullo Shisha prima della sfida che li aspetta alla Nord del GI: "Mi sono mancati gli ottomila", confessa.

La partenza della spedizione è fissata per il 6 aprile. La squadra volerà a Kathmandu, dove rimarrà due o tre giorni in attesa della riapertura dei confini tibetani prevista per il 10 del mese. Dopodichè si trasferirà al campo base della Nord dello Shisha Pangma, 8.027 metri.

"Saliremo la via normale - racconta Panzeri -. Seguiremo la variante Inaki Ochoa nella parte sommitale per evitare il brutto traverso che già nello scorso autunno mi ha impedito di raggiungere la cima principale della montagna, perchè non era in condizioni. E' la terza volta che lo tento e speriamo sia quella buona. Finora ho intascato due volte la cima middle".

La spedizione in partenza è organizzata da Alberto Magliano, ormai veterano dell'Himalaya e salitore delle 7 summits. Il resto del gruppo è formato da Floriano Lenatti, guida alpina della Valmalenco e gestore del rifugio Porro, Gualtiero Colzada, guida alpina e tecnico elisoccorso della Valchiavenna, Emanuele Gianera, guida alpina e tecnico di elisoccorso di Madesimo, Anna Grego, Tarcisio Giordani e Matteo Moro.

Oltre, ovviamente, al valtellinese Michele Compagnoni, 37 anni, che torna in Himalaya a tre anni dalla spedizione alla Nord del Gasherbrum II con Daniele Bernasconi e Karl Unterkircher. Compagnoni aveva salito il K2 nel 2004 e tra qualche mese, a giugno, partirà con Panzeri per la spedizione all'inviolata Nord del Gasherbrum I organizzata da Agostino da Polenza.

"Sono contento che Mario mi abbia coinvolto per la spedizone allo Shisha - ci ha raccontato Compagnoni -. Partiamo fra amici, gli 8000 devo dire che mi sono mancati. In questi tre anni ci ho pensato spesso. Allo Shisha, comunque, vado principalmente per acclimatarmi in vista del GI".

Lo Shisha è una cima preziosa soprattutto per Panzeri, 46 anni, impegnato nella cosiddetta "corsa" ai 14 ottomila. "No, ma quale corsa - si schermisce l'alpinista lecchese con un sorriso -. Io non faccio le corse, vado piano piano e me li godo. Ogni ottomila ha la sua storia il suo fascino, non mi piace contarli come le figurine. Per questo sono felice di tentera il GI da una via nuova. Non ne ho mai aperte sugli ottomila: nel 1991 avevo tentato la ovest Makalu, ma ci eravamo fermati 7.200 metri".


no Shisha, subito Annapurna: la Cina blocca la Pasaban


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"Nessuna spedizione avrà permessi alpinistici fino ad aprile. Siete pregati di rimandare la vostra spedizione allo Shisha Pangma fino a quella data". E' con questo messaggio che la Cina Tibet Mountaineering Association ha mandato in frantumi i piani, e forse anche i sogni di gloria, di Edurne Pasaban. L'alpinista basca, sul piede di partenza per il Tibet, era decisa a salire presto lo Shisha per poi passare all'Annapurna e magari battere sul tempo la coreana Miss Oh nella corsa alla prima donna alla conquista dei 14 ottomila. Ma ora, nonostante il repentino adeguamento dei piani, la cosa si fa molto difficile.

Sarà dura ora - ha confessato la Pasaban ad Explorersweb -. Il mio obiettivo principale è completare i 14 ottomila, ma onestamente, non avevo rinunciato a sperare di essere la prima. I giochi sono ancora aperti, perchè non provarci? Ma ora è difficile. Dovevamo partire ieri e solo 20 ore prima è arrivato il messaggio dalla China/Tibet Mountaineering Association".

La Pasaban voleva salire lo Shisha, 8.027 metri, in Tibet, prima della metà di aprile salendo dalla via normale con la variante Inaki Ochoa. Poi, passare direttamente all'Annpurna, 8.091 metri, già acclimatata e pronta ad un tentativo veloce per provare a battere sul tempo la coreana, alla quale manca solo l'Annapurna per competare il cerchio dei 14 ottomila e che sarà ai piedi della montagna da metà aprile.

Per questo i baschi avevano chiesto ai cinesi di anticipare il tentativo allo Shisha. Avevano concordato un permesso di salita che partisse dal 16 marzo, ma ora, il giorno prima della partenza, la Cina ha mette il veto. Che fare dunque?

I bidoni erano pronti, gli alpinisti pure. La decisione è stata repentina, la Pasaban e compagni partono per l'Annapurna. Non sarà facile, in condizioni invernali su quella parete pericolosa e incline alle valanghe. Al campo base non ci sarà nessuno e la squadra dovrà preparare la salita completamente in autonomia.

"All'Annapurna avrebbe dovuto essere una salita veloce, toccata e fuga - ha detto la Pasaban - in poche ore invece è diventata una mega-spedizione pronta a fissare corde e installare campi. Sarà un lavoro di settimane. Ma nonostante questo, mi sento alla grande. Partiremo tra qualche giorno e con noi ci sarà Nacho Orviz, che ha salito 4 ottomila".

Il resto della squadra è formato dai fedelissimi Alex Chicon, Asier Izaguirre, Ferran Latorre con il medico Pablo Munio.

Mondinelli, Blanc, Camandona ed Enzio: Dream team italiano alla nord dell'Everest

Dream team italiano alla nord dell'Everest. Questa primavera, sul versante tibetano del Tetto del mondo scenderanno in campo i due valdostani Abele Blanc e Marco Camandona, con il giovane piemontese Michele Enzio e un inarrestabile Silvio "Gnaro" Mondinelli che, fresco di investitura di "cavaliere della Repubblica Italiana", punta a salire senza ossigeno l'Everest anche dal versante Nord. La partenza è fissata per il 31 marzo. E non è escluso che Blanc, dopo l'Everest, non ritenti l'Annapurna, il suo ultimo ottomila.

"I vecchi tornano all'Everest con i giovani - scherza Mondinelli -. ma non vecchi di età, eh, vecchi di ottomila! Scherzi a parte. Prima di tutto vado per allenarmi in vista della spedizione estiva al Gasherbrum I. Ma non nascondo che mi piacerebbe salire l'Everest anche dal versante Nord. Così l'avrei salito senza ossigeno da entrambi i lati".

Per "Gnaro", 52 anni a giugno, questa è la terza spedizione al versante Nord dell'Everest. Le prime due sono state nella primavera del 1999 e del 2000: una volta ha raggiunto quota 8.200, l'altra 8.600 metri. Ha dovuto rinunciare in entrambi i casi per colpa del maltempo, e in entrambi i casi ha salvato delle vite umane ad alpinisti in difficoltà oltre gli ottomila metri.

Questi soccorsi ad alta quota, che hanno tempestato la sua straordinaria carriera alpinistica che lo ha portato ad essere il sesto uomo della storia ad aver salito tutti i 14 ottomila senza ossigeno, sono valsi a Mondinelli nei giorni scorsi la nomina a Cavaliere della Repubblica Italiana. Il titolo, conferito dal Presidente Napolitano, arriva a Mondinelli poche settimane dopo aver lasciato la Guardia di Finanza, in cui ha prestato servizio per 33 anni e da cui è andato in pensione a fine dicembre.

"Sono contento di ripartire con Michelino - dice Mondinelli -, per lui l'Everest è rimasto un sogno e spero che saliremo in vetta insieme. Sono felice anche di aver combinato con Abele e Marco. Ho saputo che partivano dalla Cho Oyu Trekking, quando cercavo il permesso di salita per me e Michelino. Ci siamo sentiti e adesso partiamo insieme. Abele è un tranquillone, io invece voglio sempre spaccare il mondo... insieme formiamo una bella via di mezzo!".

Abele Blanc, 56 anni, valdostano, ha salito 13 ottomila. Alla sua collezione manca soltanto l'Annapurna, che ha già tentato 5 volte ma con cui non è mai riuscito a chiudere i conti. L'ultimo tentativo risale al 2006, quando ha dovuto improvvisamente rientrare per una tragedia familiare. Secondo indiscrezioni, pare che Blanc voglia riprovarci questa primavera, dopo l'Everest. Ma ancora non c'è nessuna conferma.

Mondinelli ha scalato con Blanc al Dhaulagiri e per due volte all'Annapurna, dove c'era anche Marco Camadona. Lui, 40 anni, valdostano, è guida alpina a Valgrisenche e ha già salito alcuni ottomila, tra cui il K2 con Blanc nel 2000, il Manaslu e il Cho Oyu.

Enzio è il più giovane del gruppo. Classe 1974, è nato sul Monte Rosa e proviene da una famiglia di guide alpine per tradizione. Appassionato di sci estremo e parapendio, è sbarcato in Himalaya nel 2006 arrivando in vetta allo Shisapagma, 8027 metri proprio con Mondinelli. Nel 2008 ha preso parte, ancora con Mondinelli e Marco Confortola, alla spedizione alpinistico-scientifica Share Everest 2008 del Comitato EvK2Cnr che ha installato sul Colle Sud dell'Everest la stazione meteorologica più alta del mondo. Quell'anno arrivò a 8.600 metri senza ossigeno, e dovette rinunciare per colpa del vento.

"E' una grande emozione tornare all'Everest - racconta Enzio -. Sono contento di salire dal versante nord perche quello nepalese lo conosco già, di qui invece è un percorso nuovo quindi è come fosse un'altra prima volta. Ma essendoci già stato so già che oltre gli 8000 metri è davvero dura, è eterna la salita fino alla cima. Blanc e Camadona non li conosco, ma sono felice che ci sia il 'Papi' Gnaro".

Alla Nord dell'Everest, Mondinelli e soci troveranno diversi amici. Tra gli altri, ci sarà Gerlinde Kaltenbrunner con il marito Ralf Dujmovits.


Patrick Hollingworth - Mt.Baruntse 7129 mt. - Nepal



Patrick Hollingworth nel tentativo del Baruntse 7129 mt (Nepal). tra aprile e maggio 2009.



i ghiacciai in Himalaya non spariranno nel 2035


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I ghiacciai dell'Himalaya non si scioglieranno entro il 2035 come aveva invece previsto l'Ipcc (Gruppo intergovernativo dell'Onu sul cambiamento climatico), premio Nobel per la pace nel 2007. E' stato l'Ipcc stesso a fare retromarcia e a porgere le scuse all'India per l'improvvida previsione datata 2007.

Una previsione che dava per certo, con l'attuale tendenza al riscaldamento climatico, lo scioglimento delle masse glaciali nei prossimi 25 anni, con conseguenze drammatiche sulla vita di circa 2 miliardi di persone che vivono con l'acqua che scende dalla catena montuosa più alta del mondo. La ricerca era stata fortemente criticata dal ministro dell'Ambiente indiano Jairam Ramesh, che attraverso il quotidiano Times of India aveva accusato lo studio di "mancanza di dati scientifici".
Ora, l'organismo delle Nazioni Unite, per voce del suo direttore Chris Field, riconosce l'errore e corre ai ripari. A breve renderà pubblico un nuovo studio che conterrà date diverse.
I ghiacciai himalayani, confermano diversi studi, stanno perdendo massa. Ma non al ritmo sostenuto dall'Ipcc. In una recente conferenza internazionale sul clima, è emerso che al passo attuale i ghiacciai himalayani si scioglieranno del 30 per cento entro il 2030, del 40 entro il 2050 e del 70 entro la fine del secolo. Cifre molto diverse da quelle rese note dall'Ipcc.
Lo scivolone dell'Ipcc è il secondo nel giro di pochi mesi. Segue a ruota lo scandalo dei dati "gonfiati" per evidenziare meglio il riscaldamento globale, finito su tutti i giornali del mondo.
Che il pianeta stia attraversando una fase di riscaldamento globale è fuori di dubbio. Ma sono le stime sul suo andamento ad essere messe in forte discussione. In uno studio che sarà prossimamente pubblicato dal Journal of Climate, rivista dell'American Meteorological Society, si evidenzia che, in base ai modelli attuali, dall'inizio dell'era industriale a oggi l'immissione nell'atmosfera di anidride carbonica avrebbe dovuto provocare un aumento della temperatura ben più alto di quello effettivamente registrato.
Rispetto alla quantità di CO2 emessa, la temperatura sarebbe dovuta aumentare di 2,11 gradi Celsius, invece è aumentata di 0,78. Secondo gli autori dello studio, guidati da Stephen Schwartz del Brookhaven National Laboratory, ciò è dipeso dall'interazione di diversi fattori. Il primo è che la Terra sarebbe meno sensibile all'aumento dei gas serra di quanto ipotizzato. Il secondo è che la riflessione dei raggi solari dovuta al pulviscolo atmosferico starebbe facendo diminuire il riscaldamento. Il terzo, che l'inerzia del riscaldamento dovuto ai gas serra è maggiore del previsto, anche se gli ultimi studi hanno fatto calare il ruolo di questo ultimo fattore.
In sintesi, conosciamo ancora poco di questo fenomeno. Gli scienziati sanno che la rotta va cambiata, ma non sanno ancora di quanti gradi effettuare la virata e soprattutto quando girare il timone.
Per questo gli esperti italiani del Comitato EvK2Cnr stanno raccogliendo una quantità considerevole di dati attraverso la rete di monitoraggio ad alta quota Share. I dati, resi disponibili alla comunità internazionale, serviranno per eleborare modelli previsionali più precisi di quelli attuali.


basta confusione tra le vie dello Shisha Pangma


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La variante "Inaki Ochoa" sulla Nord dello Shisha Pangma, che porta direttamente sulla cima vera della montagna aggirando la cima centrale, è in realtà un breve tratto che si innesta su una via austriaca del 1980. Questa la tesi del ricercatore tedesco Eberhard Jurgalsky, esperto di statistiche e storia dell'alpinismo, che nelle scorse settimane ha pubblicato uno speciale sul celebre 8000 tibetano.

Quante vie esistono nella parte superiore dello Shisha Pangma? Quante aggirano l'insidioso traverso che porta dalla cima centrale alla cima vera? E chi le ha aperte?

Jurgalski ha voluto rispondere a tutte queste domande dopo la salita dell'australiano Andrew Lock, che quest'autunno ha conquistato il suo 14esimo ottomila salendo in vetta allo Shisha Pangma da una variante della via percorsa da Inaki Ochoa nel 2006.

In realtà il ricercatore fa notare che Ochoa, quell'anno, ha percorso solo un breve tratto "nuovo", quello che nella foto in calce è segnato in nero e, in pratica, congiunge un punto sopra campo 3 alla via percorsa da una spedizione austriaca nel 1980, che è stata per lungo tempo dimenticata.

Gli austriaci, quella volta, compirono la prima traversata verso la cresta orientale, con un'impresa di cui fu anche pubblicato il resoconto sull'American Alpine Journal. Jurgalski riepiloga, nel disegno sottostante, tutte le varianti alla via normale (quella cinese della prima salita, nel 1964) aperte nella parte superiore della montagna.

Tutti i dettagli della ricerca sono riportati su 8000ers.com, dove Jurgalski pubblica anche lo schizzo originale della via austriaca, disegnato dal leader della spedizione.



Photo e info courtesy of www.8000ers.com




Moro e gli altri tornano a casa


Non si possono vivere i propri sogni facendosi dettare le regole del gioco dagli altri. Un’avventura, una esplorazione, nascono dal profondo della propria anima, dalla parte libera ed irrazionale di noi stessi. La Cho Oyu Trilogy Expedition è stata la materializzazione di un sogno comune, una condivisione di forze e di energie, che hanno trovato in una montagna il punto ove realizzare ambizioni comuni e personali basati sul sentimento di amicizia, rispetto delle regole, accettazione dei rischi e delle responsabilità. Scalare una montagna di 8000 metri, aprire una via nuova, scendere con lo snowboard dalla cima, correre a piedi o in bicicletta fino al punto di partenza del progetto, comporta una programmazione ed il rispetto di tempistiche delicate e fondamentali che non devono e non possono trovare costrizioni che elevino i rischi, ne amplificano e ne snaturino il senso.
Questo è ciò che negli ultimi giorni è purtroppo accaduto in modo rocambolesco ed inesorabile alla nostro progetto, a causa dei provvedimenti restrittivi presi dal governo cinese che in modo improvviso, perentorio, e non negoziabile ha chiuso le frontiere col Tibet, impedendo a chiunque di entrare in quel territorio anche se muniti di visti d’ingresso e regolari permessi. E’ così iniziato il balletto sulle date e sulla durata di questa chiusura cinese ed oggi ci è giunta notizia che il giorno 10 Ottobre dovrebbe essere il primo giorno di potenziale ingresso in Tibet (tutti i giorni questa data ha subito variazioni e slittamenti). Il 25 di ottobre sarebbe l’ultimo giorno utile di permanenza sul Cho Oyu per la nostra spedizione a causa della data fissata per il volo di rientro e per impegni professionali e personali fissati da tempo. Ciò significa che dovremo accettare di realizzare una spedizione con tre differenti attività e programmi in soli 15 giorni compresi i tempi di trasferimento per e dal campo base. Una follia!! Un pessimo insegnamento da dare, un’accettazioni di rischi evidenti, una spesa elevata per un partita persa in partenza se considerata nel completamento di tutti e tre differenti progetti (scalata, snowboard e bike/run a Kathmandu). Allora diciamo NO!
Non ci stiamo a farci condizionare così anche nella realizzazione del nostro sogno. Sarebbe davvero una pessima dimostrazione di autostima farsi prendere per il naso e per i fondelli da chi vuole imporre le proprie regole, tempi e condizioni contravvenendo a quelle fino a ieri annunciate e da noi rispettate. Non ci sentiamo in vacanza a spese degli sponsor e neppure condizionati dagli eventuali commenti di stampa ed amici. Nessuno di noi vuole tentare la sorte e sperare di realizzare in tempi quasi impossibili ciò che per anni abbiamo preparato e sognato. Congeliamo il progetto Cho Oyu Trilogy Expedition, diciamo no grazie alle autorità cinesi, salviamo i soldi di chi ha creduto in noi nonostante la difficile congiuntura economica e, portando rispetto a ciò che la ragione e la morale ci impone, torniamo a casa tutti assieme senza escogitare progettini di ripiego e salva faccia individuali.Siamo ovviamente tristi sul lato sportivo ed esplorativo ma fieri di aver trovato in questa decisione un accordo comune e totale. Un bel team sin dall’inizio, un grande team anche in questa decisione. In 41 spedizioni non mi era mai capitato di farmi dettare le condizioni e prendere per il naso in questo modo e sono contento che anche questa volta il sottoscritto e chi è con me, non è caduto nel tranello della cieca, sorda, irrazionale ambizione. Ringrazio vivamente la The North Face per aver supportato tutto il nostro progetto e rispettato le decisioni, (anche quest’ultima) che abbiamo preso. Ringrazio tutto il team della Cho Oyu Trilogy Expedition per aver dimostrato unità ed amicizia in ogni secondo di questa avventura. La nostra esplorazione di gruppo subisce solo una posticipazione temporale, probabilmente l’autunno 2010, mantenendo integra l’anima ed il rispetto per le regole e della propria persona. Seppur un po’ triste e mortificante, questo pezzo di vita che porto a casa mi regala ed insegna anche qualcosa di prezioso e non negoziabile, proprio come l’improvvisa chiusura del Tibet….



Mario Merelli dedica la cima del Cho Oyu a Mireira e a Gnaro

news from LHASA, Tibet -- Non può essere più felice di così, Mario Merelli. E' al campo base da ieri, a festeggiare insieme alla fidanzata Mireia la cima del Cho Oyu salita con Marco Zaffaroni due giorni fa. E mentre aspetta la torta prevista dal menu per questa sera, telefona agli amici più cari per condividere con loro questa gioia immensa. Il primo è stato Silvio Mondinelli, al quale ha voluto dedicare la cima. "L'ho dedicata a lui e Mireia, un grande amico e un grande amore" ci ha detto Merelli poco fa.
"Lassù era stupendo - racconta Merelli - quando sono arrivato a vedere l'Everest e il Lhotse ho capito che ero in cima, è stato bellissimo. Ho pensato subito a Mireia, che mi aspettava al campo base, e al Silvio. La dedica mi è nata così, sul momento... lei è il mio grande amore, lui un grande amico. Ha salito tanti ottomila e avrà fatto tante dediche, ma chissà se qualcuno ne ha dedicato uno a lui. E allora per tutto quello che mi ha insegnato gliela dedico. Prima l'ho chiamato, mi diceva "brào, brào" e che ha già preparato il vestito per venire al matrimonio".
E Zaffaroni? Lui che qualche mese fa raccontava di "cinque spedizioni e quattro fallimenti e mezzo", che pensava di non essere fatto per l'Himalaya ma diceva di non sapervi rinunciare per tutte le indimenticabili sensazioni che si provano durante le scalate. Che cosa dice? "Zaffa in cima si è commosso - racconta Merelli con un sorriso -. Finalmente ce l'ha fatta, sapessi com'è contento. Faceva un gran freddo, però lassù. Quando siamo scesi Mireia s'è commossa... ma secondo me è l'aria fine che le fa scendere le lacrime!".
E' emozionato, Mario Merelli, ma non riesce a restare serio troppo a lungo. Scherza, ride, parla con l'amico "Zaffa" che dietro di lui fa casino e battute a non finire. Perchè le spedizioni sono anche questo. O forse sono soprattutto questo, questa gioia che fa dimenticare sofferenze e lunghe attese, e alla fine ti riempie di sensazioni così belle che non puoi rinunciare a tornare laggiù per riprovarle.
"E' un viaggio di nozze bellissimo - dice ancora Merelli -, pochi lo fanno così. Adesso poi sarà tutto in discesa. Andiamo un po' al caldo, il 4 ottobre saremo a Kathmandu e poi andremo nel Dolpo per l'inaugurazione del Kalika Community Hospital, un progetto che seguiamo da anni e per il quale in tanti ci hanno aiutato. Torneremo in italia intorno al 21 ottobre".
"Ho sentito della chiusura dei confini in Tibet - prosegue Merelli -. Ma il nostro ufficiale dice che possiamo uscire, basta che facciamo in fretta perchè prima è meglio è. Qui resta ancora tanta gente. Tanti che salgono con l'ossigeno, spedizioni commerciali ma anche qualche solitario con la sua guida. Nelle scorse settimane ho conosciuto Clifton Maloney, mi ha chiesto tante cose sugli 8000 e abbiamo fatto la foto insieme. Ci teneva tanto alla cima. L'ha raggiunta, ma non è tornato. Abbiamo visto che lo portavano giù quando siamo arrivati a campo due. questo fa ripensare a tanti amici scomparsi. Li portiamo nel cuore, ma dobbiamo soprattutto stare vicino e voler bene a chi c'è ancora".



il Tibet chiuide le frontiere e Simone Moro rimane bloccato all'Island Peak

news from CHHUKHUNG, Nepal -- Insistere verso il Cho Oyu, oppure cambiare programma e tentare qualcosa su una montagna nepalese? Questo il dilemma con cui stanno facendo i conti Simone Moro e il team della Trilogy expedition, che al momento si trovano ai piedi dell'Island Peak, in Nepal. Colpa dei cinesi, che all'improvviso hanno deciso di chiudere le frontiere fino all'8 ottobre, impedendo alla spedizione di raggiungere la montagna tibetana nei tempi previsti dal calendario.

"Le cose ovviamente non possono andare lisce almeno per una volta - scrive Moro sul blog della spedizione -. A anche stavolta è arrivata la sorpresina. I cinesi hanno chiuso le frontiere dal 24 settembre fino al giorno 8 ottobre. Nessuno, proprio nessuno ossia spedizioni e turisti possono entrare in Tibet per la ricorrenza del 60° anniversario della proclamazione della repubblica popolare Cinese".

Una decisione improvvisa e inaspettata, che blocca ai campi base tutte le spedizioni già entrate in Tibet, e fuori dal paese tutti coloro che dovevano ancora entrare. Questo ha messo in crisi i piani di Moro e dei suoi compagni Hervè Barmasse, Emilio Previtali, Lizzy Hawker e Tamara Lunger. Entrando in Tibet così tardi, il gruppo avrebbe soltanto 15 giorni per tentare la via nuova sul Cho Oyu, la discesa in snowboard e tutte le altre attività previste dal ricco programma della Trilogy Expedition.

Il team si trova al momento in Nepal, nella Khumbu Valley, per completare la fase di acclimatamento. Gli alpinisti stanno per tentare la salita dell'Island Peak, 6.189 metri, dopo la quale avrebbero dovuto trasferirsi direttamente in Tibet. Invece, qualcosa nei piani dovrà cambiare.

"Sono giorni che riflettiamo sul da farsi - spiega Moro -. Per ora proseguiamo con il programma di acclimatamento, tra domani e dopo prenderemo la decisione finale. Saremmo dell’idea di cancellare la spedizione al Cho Oyu e tentare una montagna qua in Nepal, magari vicino a dove già siamo, a Chhukung sotto la sud del Lhotse. Vorremmo però essere sicuri che i Cinesi non ci chiedano comunque i soldi del permesso del Cho Oyu perché in quel caso butteremmo al vento circa 40.000 dollari".

"D'altro canto, c'è la speranza che forse facciano un'eccezione per noi - conclude l'alpinista -. Sembra ci sia la possibilità che ci facciano entrare lo stesso, visto che avevamo richiesto il permesso prima che i cinesi decidessero di chiudere le frontiere. Vedremo".

In attesa di conoscere la loro decisione, CLIMBING ADDICTED vi ripropone i tre video pubblicati sul blog della Trilogy Expedition e prodotti quotidianamente da Armin Widmann e Hans Peter Karbon, che si trovano al seguito della spedizione di Moro e compagni.





Mario Panzeri sulla middle dello Shisha: non mi arrendo!

news from LHASA, Tibet -- "Abbiamo fatto la cima middle. Un'altra volta". Ci sono delusione e stanchezza nella voce di Mario Panzeri, che ci ha chiamato poco fa dal campo base per annunciare che sullo Shisha Pangma, una vetta l'hanno fatta, ma purtroppo non è quella principale di 8.027 metri. "Il traverso era troppo pericoloso - racconta l'alpinista -. Ma non mi arrendo. Ritenterò tra 4 o 5 giorni. E da un'altra via".

Panzeri è rientrato poco fa al campo base, dopo quattro giorni sulla montagna. Partito dal campo base venerdì, come da programma ha tentato la cima domenica mattina, insieme all'americano Nick Rice, ai baschi Juanito Oiarzabal e Tolo Calafat, e ad un rumeno.

"Siamo partiti da campo 3 all'alba - racconta l'alpinista - siamo arrivati sulla middle e abbiamo provato ad attraversare verso la cima centrale. Ma non c'è stato verso. Le cornici erano enormi e pericolanti, il pendio sottostante non parliamone. Abbiamo manovrato un po' ma abbiamo dovuto tornare indietro".

"Eravamo convinti che la normale fosse in buone condizioni - prosegue Panzeri -. Andrew Lock, che è qui per raggiungere il 14esimo ottomila, era deciso a salire dalla via normale e assicurava che la cresta era percorribile. Ci siamo fidati, e invece quel tratto era impraticabile. Adesso lui, che era rimasto al base, domani riparte per andare in cima, ma vista la nostra esperienza proverà a salire dalla via di Inaki Ochoa".

Panzeri e compagni, al rientro, si sono fermati a campo 3 per la notte. Poi sono scesi al base e si sono salutati: Oiarzabal e il suo compagno di cordata hanno deciso di rientrare in Spagna. Panzeri e Rice, invece, non hanno nessuna intenzione di lasciar perdere. L'alpinista lecchese, d'altro canto, aveva già intascato la cima middle dello Shisha Pangma nel 2005 con Mario Merelli. Ed è ritornato qui deciso ad agguantare quella principale, per segnare così l'undicesimo ottomila ufficiale del suo curriculum.

Difatti, Panzeri non vuol sentir parlare di complimenti. "No, no, quali complimenti - protesta l'alpinista - anche qui me li fanno tutti, perchè la middle è più di 8000 metri. Invece no. Li voglio solo per la cima vera! Ci riproverò tra qualche giorno. Il tempo di riposarmi e poi con Nick proveremo a salire un'altra volta, stavolta anche noi dalla via di Ochoa. Non sarà facile, anche quella è piena di neve e, mentre gli austrialiani sono 4, noi saremo solo due. Ma ci proveremo".

Il video sottostante, girato proprio da Inaki Ochoa il giorno della sua cima sullo Shisha, mostra prima la vetta principale e poi la cima centrale della montagna. In mezzo, il pericoloso traverso carico di neve."L'unico problema è che continua a nevicare - conclude Panzeri -. Il mattino magari fa bello, poi il pomeriggio si chiude e mette giù quei 20 centimetri di neve che creano problemi. L'altro giorno per salire a campo 3 ci abbiamo messo 7 ore. Un'eternità, e solo perchè bisogna battere di nuovo tutta la traccia".

Ma ora, è tempo di recuperare le forze. Panzeri resterà al base per qualche giorno, poi non appena le previsioni chiameranno una finestra di bel tempo, si riorganizzerà per la nuova salita
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è vetta!! Cho Oyu in tasca per Merelli e Zaffaroni!

news from LHASA, Tibet -- Ce l'hanno fatta, Mario Merelli e Marco Zaffaroni. Sono arrivati sulla vetta del Cho Oyu, 8.201 metri, questa mattina alle 9.30 ora tibetana. I due alpinisti bergamaschi sono partiti prima dell'alba da campo 2, 7.200 metri di quota, nonostante le nubi. E dopo alcune ore di salita hanno toccato l'agognata cima, che per Merelli rappresenta il nono ottomila, e per Zaffaroni il secondo, dopo la middle dello Shisha Pangma e quattro sofferte spedizioni.

"Mario e Zaffa mi hanno chiamato dalla cima - annuncia raggiante Mireia Giralt, fidanzata di Merelli, dal campo base -. Stanno benissimo, ora stanno scendendo. Quando sono partiti era nuvoloso ma poi è uscita una giornata bellissima. Ora sulla cima si era fatta un po' di nebbia, ma il tempo è sereno".

Merelli e Zaffaroni puntano a campo 1. Vogliono riuscire a scendere fino a quell'altezza in giornata e dormire lì. "Mario mi ha chiesto dove ero - racconta Mireia -, ma oggi non sono salita fino al primo campo. Era brutto tempo e pensavamo che non fossero partiti. Qui ormai è una settimana che di notte è brutto, ma poi di giorno escono giornate splendide. Per fortuna ne hanno approfittato".

Domani, sarà tempo di festeggiamenti al campo base. Dopo la sofferta spedizione primaverile al Manaslu, segnata da mille difficoltà e dalla perdita di un compagno, Zaffaroni finalmente ha realizzato il suo sogno, e Merelli ha messo la "ciliegina sulla torta" di un periodo che pare essere splendido sotto tutti i punti di vista.

Questa "luna di miele" al Cho Oyu, infatti, pare proprio non potesse andare meglio, anche per la Giralt. "E' vero - dice Mireia -. Ieri ero un po' così così, ero preoccupata. Ma oggi... oggi, dopo che mi hanno telefonato... è bellissimo, non vedo l'ora che arrivino qui domani!".

Domani, però. Oggi c'è ancora la discesa a cui pensare. I due alpinisti sono in cammino da molte ore e ormai non dovrebbe mancare molto al campo 1. Appena sapremo del loro arrivo, ve ne daremo notizia. Continuate a seguirci!


Juan Vallejo, Alberto Inurrategi e Mikel Zabalza: video salita al Colle Nord dell'Everest



Merelli e Zaffaroni tenteranno ad ore...

news from LHASA, Tibet -- Due giorni di ritardo a causa del tempo instabile. Ma sembra essere arrivata l'ora di tentare la cima anche per Mario Merelli e Marco Zaffaroni, che attualmente si trovano a 7.200 metri, sulla via normale del Cho Oyu. I due alpinisti, se perdurerà il bel tempo, partiranno questa notte.

Merelli e Zaffaroni sono partiti sabato dal campo base. Hanno raggiunto campo 1 e ieri sono saliti a campo 2. Il tentativo era fissato per questa mattina, ma uscendo dalla tenda i due alpinisti hanno visto delle nubi circondare la cima e hanno preferito rimandare di 24 ore la partenza.

"Stamattina era arrivata notizia di 6 alpinisti in salita - ci racconta dal campo base Mireia Giralt, fidanzata di Merelli - pensavo che anche loro fossero partiti per la cima. Invece poi mi hanno fatto sapere che erano fermi a campo 2 e tenteranno stanotte. Il tempo non era il massimo e non si sono fidati. E' un peccato perchè poi è uscito un giorno davvero bello, ma dovrebbe essere così anche domani".

Le previsioni meteo sulle cime himalayane, negli ultimi giorni, non sono state molto affidabili. Una finestra di bel tempo per sabato e domenica ha indotto molti alpinisti a tentare la vetta, ma nubi e nevicate hanno mandato all'aria molti piani.

"Sono giorni che divento matta con le previsioni - prosegue la Giralt -. Vado a confrontarle con le altre spedizioni ma le versioni sono tutte diverse. Tendenzialmente sono buone, comunque Mario e Zaffa decideranno in base ciò che vedranno usciti dalla tenda. Partiranno direttamente da campo 2, perchè il terzo campo sarebbe stato soltanto trecento metri più in alto e non valeva la pena attrezzarlo".

Nei giorni scorsi diversi gruppi hanno raggiunto la cima del Cho Oyu. I primi sono stati 4 baschi il 22 settembre, poi alcune commerciali. Ma c'è ancora molta gente in movimento sulle pendici del gigante tibetano di 8.201 metri. Le prossime ore potrebbero essere decisive per molti.



Mario Panzeri è partito per la cima dello Shisha

news from LHASA, Tibet -- "Domani si parte!". Non stava nella pelle, ieri sera, Mario Panzeri: la sua voce, via satellitare, tradiva allegria e impazienza. Sullo Shisha Pangma, infatti, è finalmente arrivata l'ora di tentare la vetta: l'alpinista lecchese partirà domattina all'alba dal campo base con lo spagnolo Juanito Oiarzabal e l'americano Nick Rice.

"Ieri ho ricevuto le previsioni meteo - racconta Panzeri -. Chiamano bello il 26 e il 27 settembre. Le condizioni della montagna per il momento sembrano buone, dunque proviamo a salire dalla via normale fino in vetta. Male che vada, se la cresta risultasse impraticabile, andremo per la via di Inaki Ochoa".

Ochoa, infatti, nell'ottobre 2006 aveva aperto una variante della via normale che evitava l'insidioso traverso tra la cima middle alla cima principale dell'ottomila tibetano, che spesso versa in pessime condizioni e risulta impossibile da superare. La variante dell'alpinista basco parte da campo 3, a circa 7.400 metri di quota, traversa verso est scendendo di un centinaio di metri sotto un seracco e poi sale diritta verso uno sperone di roccia che porta alla cresta orientale, dove passa la via degli Inglesi che sale dal versante sudovest della montagna.

"Domani partiamo io, Nick e quell'animale di Juanito - scherza Panzeri -. Non so come faccia ad avere voglia di rifare i 14 ottomila ma sembra convinto... è troppo forte. Domani andiamo solo a campo 1, non al 2 perchè vogliamo risparmiare energie per l'ultimo giorno. Proveremo la cima domenica. Ma per adesso non parliamone, meglio pensare un giorno per volta!".

Panzeri e Rice avevano affrontato insieme la salita al Manaslu questa primavera, arrivando entrambi in cima dopo una spedizione lunga oltre due mesi. Ora, si sono ritrovati insieme allo Shisha, che proveranno a "vincere" nei prossimi giorni.

Ad attendere Panzeri al campo base ci sarà la moglie Paola, che dopo un inizio travagliato a causa di qualche problemino con l'altitudine, si è rimessa in forma ed è risalita ai piedi dello Shisha. L'ottomila tibetano, 8.027 metri, potrebbe diventare l'undicesimo ottomila di Panzeri, che ha sempre scalato senza ossigeno e senza portatori, come farà anche questa volta.

la guerriera degli 8000

Wanda Rutkiewicz

È considerata una delle più grandi alpiniste del nostro secolo, se non la più grande in assoluto. Fu tra le prime a tentare la corsa agli ottomila. Ne scalò 8 tra il 1978 e il 1992, di cui il Cho Oyu e l’Annapurna sud in solitaria. Senza contare che fu la prima donna in cima al K2, scalato assolutamente senza ossigeno nel 1986. Caparbia, coraggiosa. Lo spirito di un guerriero.

Wanda Rutkiewicz è una dei personaggi chiave della storia dell’alpinismo femminile. Pioniera dell’himalaysmo, delle scalate ardite, del confronto paritario tra uomo e donna. Iniziò ad affrontare le montagne più alte della terra nel 1978. Collezionò 8 ottomila. Un numero straordinario se si pensa che ancora oggi, almeno finora, nessun’altra è riuscita a concludere la sua impresa.

La Rutkiewicz nasce il 4 febbraio del 1943 a Plungė, allora territorio polacco, oggi lituano. Dopo la Seconda Guerra mondiale la sua famiglia si trasferisce nella Polonia del sud a Wrocław e qui prende la laurea in ingegneria elettronica.
Nel 1978 inizia a scalare le grandi montagne della terra, e comincia col botto, con quella più alta di tutte, l’Everest. È lo stesso anno in cui Reinhold Messner e Peter Habeler raggiungono la vetta senza ossigeno per la prima volta nella storia. Il 16 ottobre la Rutkiewicz diventa la terza donna in assoluto in cima agli 8.848 metri della montagna, la prima tra le europee.

Il 15 luglio del 1975 scala il Nanga Parbat. Non è la prima salita femminile della montagna, compiuta infatti l’anno prima da Liliane Barrard con il marito Maurice. Ma è la prima spedizione costituita da sole donne ad arrivare in cima. Con lei c’erano with Krystyna Palmowska e Anna Czerwinska.
Il 1986 è l’anno magico. È il 23 giugno quando la Rutkiewicz scala senza ossigeno il K2: diventa la prima donna in cima alla “montagna delle montagne”. Addirittura aspetta in vetta il francese Michel Parmentier e i coniugi Maurice e Liliane Barrard. Questi ultimi due saranno poi tra le 16 vittime di quella tragica annata sulla seconda vetta del mondo: moriranno entrambi durante la fase di discesa. Pochi giorni dopo, all’inizio di agosto, sarebbero morti anche il grande Renato Casarotto e Julie Tullis.

Diciotto settembre 1987. L’alpinista polacca raggiunge la cima principale dello Shishapangma insieme a Ryszard Warecki. Il 12 luglio dell’89 è la volta del Gasherbrum II, in vetta con l’inglese Rhony Lampard. Poi il 16 luglio dell’anno dopo scala l’Hidden Peak, ovvero il Gasherbrum I, con Ewa Panejko-Pankiewicz.
Nel 1991 mette a segno altre grandi imprese. Sale il Cho Oyu (26 settembre 91) e l’Annapurna (22 ottobre 91) dalla famigerata parete sud, entrambi in solitaria.
Infine il Kanchenjunga nel maggio del 1992. Sarebbe stato il suo nono ottomila, ma secondo le ricostruzioni rimase appena 300 metri sotto dalla vetta, sulla parete sud ovest. Era il 12 del mese. Insieme a Carlos Carsolio aveva lasciato campo 4 (posto a 7.950 metri) diretta verso la cima intorno alle 3.30 del mattino. Ma mentre il suo compagno raggiungeva la cima dopo 12 ore di cammino, lei rimaneva indietro.

Carsolio la ritrova intorno agli 8.200-8.300 metri sulla via di discesa. La Rutkiewicz aveva infatti deciso di fermarsi lì, di bivaccare a quella quota e di proseguire per la vetta il giorno dopo. Ma non aveva con sé cibo, né niente per cucinare o per bivaccare. E' l’ultima volta che qualcuno l'ha vista viva.
Il 29 aprile del 1995 viene ritrovato il suo corpo. A scoprirlo, circa a quota di 7.700 metri, cento metri sotto un seracco, è stato niente meno che Silvio “Gnaro” Mondinelli, che quell’anno tentava il Kanchenjunga insieme a Fausto De Stefani e Simone Moro.

“Eravamo all’ultimo campo – ci racconta Gnaro -, stavo salendo da solo, De Stefani era in tenda, quando ho visto che dalla neve spuntava un mazzo di chiodi al titanio e un pezzo di stoffa. Ho scavato per vedere cosa c’era sotto e ho trovato il corpo di una donna. Le mancava un pezzo di testa, aveva solo la mandibola e diverse ossa rotte. Abbiamo poi scoperto che si trattava di Wanda”.
“L’ho legata e ho trascinata giù – continua Mondinelli -. Ho raggiunto gli altri e le abbiamo scattato delle foto per il riconoscimento. Poi l’ho lasciata andare, delicatamente, in un crepaccio liscio e obliquo. I suoi compagni all’inizio dubitavano che fosse lei, perché nello stesso periodo era morta un’alpinista rumena e perché in effetti lei era salita dal versante opposto. Poi però l’hanno riconosciuta e mi hanno ringraziato per averle dato quella ‘sepoltura’.” La Rutkiewicz infatti, era salita dalla parete nord ovest, ma era poi precipitata lungo la via normale, sulla sud ovest.

Wanda Rutkiewicz è scomparsa così all'età di 49 anni. E' stata una delle prime nell'alpinismo a rivendicare l'uguaglianza tra i sessi, dimostrando più volte come, da donna, non avesse niente di meno degli uomini.
Nel 1999 Gertrude Reinisch, sua amica e compagna di spedizione, ha scritto una celebre biografia della grande alpinista, “La signora degli Ottomila” (pubblicato in Italia da Cda & Vivalda Editori). Il ritratto di una donna durissima come la roccia, ma anche colma di sogni, speranze e fragilità nascoste. Una lottatrice, una guerriera. Pronta a sfidare quell’ambiente alpinistico, aspro e maschilista, da cui non si sentiva accettata come avrebbe voluto.

un pilota e un bagnino per la sudovest del Cho Oyu

Ottomila metri, via nuova, stile alpino. Ma anche snowboard, mountain bike e corsa in montagna. Sarà a dir poco ricca di sorprese la nuova avventura guidata da Simone Moro, che partirà domani verso il Cho Oyu, 8.201 metri. Il team è d'eccezione: Hervè Barmasse tenterà con Moro una via nuova, davvero mozzafiato, sulla parete sudovest. Poi ci saranno lo snowboarder Emilio Previtali, che tenterà la discesa con la tavola, e due donne: l'ultra-runner Lizzy Hawker e la giovane "scommessa" Tamara Lunger, ben nota nel mondo dello scialpinismo. Chi sono pilota e bagnino? Bè, sul primo non ci sono dubbi, il secondo è stata una sorpresa...

La "Trilogy Expedition" volerà domani a Kathmandu, ma prima di dirigersi in Tibet affronterà un periodo di allenamento e acclimatamento nella valle del Khumbu. Solo all'inizio di ottobre, dopo la scalata dell'Island Peak, 6.500 metri, rientrerà nella capitale nepalese per dirigersi al Cho Oyu. Lassù, Moro tenterà di conquistare l'ennesimo successo di un'annata davvero speciale, che lo ha già visto compiere la prima salita invernale al Makalu con Denis Urubko e poi realizzare il sogno di diventare pilota di elicotteri. Adesso, l'obiettivo è una via nuova, in stile alpino, da realizzare con Hervè Barmasse, già suo compagno di cordata lo scorso anno al Beka Brakai Chhok.

"Non ho pensato ad una montagna in più da collezionare bensì ad una parete nuova da esplorare - spiega Moro la vigilia della partenza - lo stesso criterio che ho usato nelle mie precedenti spedizioni. Il Cho Oyu infatti l’ho già salito nel 2002 ed in velocità con Franco Nicolini e Mirco Mezzanotte, ma sapevo che ci sono ancora tante possibilità su questo ottomila “facile” che diventa avventuroso ed estremo se affrontato con questo spirito".

Parlando di vie normali, infatti, il Cho Oyu è considerato tecnicamente semplice, tant'è che è l'ottomila più frequentato insieme all'Everest. Meno dell'uno per cento di questi alpinisti tenta le altre vie che percorrono la montagna, che presenta diverse sezioni ancora inviolate. "Ho pubblicato ed annunciato questo progetto sul mio libro “8000 metri di vita” - racconta Moro - dove c’è l’elenco di ciò che resta da fare su ogni parete di ogni ottomila. Ho scelto la via in maniera teorica da una foto, poi andrò sotto la parete per capirne i pericoli, le eventuali cadute sassi o pericolo valanghe".

Ed è una foto speciale, quella di cui parla Moro. "L'avevo commissionata a Karl Unterkircher quando salì lo Jasemba con Kammerlander - ricorda l'alpinista bergamasco -. Me la diede un giorno che andai ad arrampicare con lui in Val Gardena e poi mi fermai a casa sua con mia moglie e conobbi la sua bella famiglia. La cresta di destra (rispetto alla foto) è ancora inviolata ed era già stata presa di mira anche da Osvald Oelz e Messner ed è ancora lì che aspetta. E’ un viaggio infinito con una parte molto difficile di roccia nella parte alta. Insomma sono quasi 3000 metri di parete o di cresta che aspettano di essere esplorati".

Una sfida tutt'altro che banale, insomma, che fa scalpitare non solo Moro ma anche il suo compagno di cordata. "C'è una frase molto famosa di Alex MacIntyre che dice: la parete è l'ambizione, lo stile l'ossessione - dice Barmasse -. E dato che il mio modo di vedere l'alpinismo è sempre la ricerca di qualcosa di nuovo, vado su un 8000 sia perchè è una nuova esperienza per me, sia per cercare di fare qualcosa mai fatto prima. Che cosa succederà al Cho Oyu? Siamo io e Simone: lui con il brevetto da pilota, io con quello da bagnino. Cosa volete che succeda: il massimo del successo. Ma mi aspetto soprattutto di divertirmi".

"Io e Simone ci siamo trovati bene al Beka Brakai e adesso andiamo avanti - prosegue il valdostano -. Simone in questo momento, dopo la sua invernale al Makalu, probabilmente è l'alpinista himlayano che più rappresenta l'Italia nel mondo. Nella storia recente dell'alpinismo himalayano, del resto, a mio avviso ci sono state 3 salite importanti: l'invernale allo Shisha Pangma, la nord del GII, e l'invernale al Makalu".

Moro, Barmasse e compagni staranno al campo base della via normale, via sulla quale saranno impegnati Previtali, che scenderà con lo snowboard, e le due ragazze, la Hawker e la Lunger, che saliranno e scenderanno a piedi. Moro e Barmasse, invece, si sposteranno verso destra, per tentare l'apertura del nuovo itinerario.

"Emilio lo conosco da 25 anni - dice Moro -. Siamo stati compagni di scuola media e di università nonché di gare, arrampicata ed allenamenti. Hervè è stato mio compagno di spedizione sul Beka Brakai Chhok. Lizzy la conosco da 4 anni, da quando è entrata in The North Face che ha promosso questa spedizione, e l’ho supportata durante due edizioni del Ultratrail de Mont Blanc. Tamara è una “scommessa” che ho deciso di fare seguendo il mio fiuto: può essere l’himalaysta donna del futuro. Testa e fisico sono da perfetta fuoriclasse d’alta quota e se il mio fiuto non mi tradisce, anche stavolta come lo fu per Denis Urubko dieci anni fa, ne vedrete delle belle".

Il programma della spedizione, come dice Moro è "davvero strabordante". Conclusa la salita, infatti, l'avventura non sarà finita. Moro e la Hawker indosseranno scarpe da trail e correranno fino a Kathmandu, in un trekking di 12 giorni. Barmasse e Previtali, invece, faranno la stessa cosa in mountain bike. Sono circa 400 chilometri.

"Vediamo se riusciamo ad avere energia e fortuna per fare tutto o anche solo una parte" conclude Moro. Di certo, comunque, questa spedizione promette di essere davvero "spettacolare". Tant'è che il team sarà seguito il fotografo Damiano levati e la troupe altoatesina formata dal regista Armin Wiedmann e dall'operatore Hans Peter Karbon, già autori del film "Il segreto del Mount Genyen" di Karl Unterkircher.


foto della parete sud ovest del Cho Oyu, scattata da Unterkircher.