Lightbox Effect

saldi del 50% sui permessi al Karakorum

ISLAMABAD, Pakistan -- E' tempo di saldi sulle grandi montagne pakistane. A causa della diminuzione del numero di spedizioni negli ultimi anni, il ministero del turismo Pakistano ha deciso di tagliare i costi dei permessi per il prossimo anno. Il listino è stato ufficializzato nei giorni scorsi.

Scalare il K2, l'anno prossimo, costerà 6.000 dollari invece di 12.000. Sono misure drastiche quelle adottate dal ministero del turismo in Pakistan, che soffre per il crollo del numero delle spedizioni dovuto in parte alla tensione politica nel paese e in parte alla crisi economica. Così, ha deciso di prendere provvedimenti e scontare i permessi di scalata per incentivare l'alpinismo.

I permessi per gli altri ottomila pakistani - Gasherbrum I (8.068 metri), Broad Peak (8.047 metri), Gasherbrum II (8.025 metri) e Nanga Parbat (8.125 metri) - costeranno 4.750 dollari per ogni team di 7 persone. E non è finita.

Il permesso per scalare le montagne sotto i 6.500 metri, nel 2010, sarà completamente gratuito. Per quelle che si trovano nella zona di Chitral, Gilgit e Ghizer - fatta eccezione per lo Spantik e il Golden Peak - si pagherà soltanto il 10 per cento del costo ufficiale, mentre d'inverno tutti i permessi saranno concessi al 5 per cento del loro valore.

In calce, la tabella con le tariffe diffuse dal Ministero del Turismo Pakistano, già scontate del 50 per cento rispetto allo scorso anno.


MontagneTeam di 7 alpinistiMembri aggiuntivi
K2 (8.611 m)6000 USD1000 USD
8.001 - 8.500 m4.500 USD750 USD
7.501 - 8.000 m2.000 USD250 USD
7.001 - 7.500 m1.250 USD150 USD
6.501 - 7.000 m750 USD100 USD


pronti per lo Street climbing a Sondrio

I climber scalano i muri di Sondrio. Sabato prossimo 19 dicembre nella Piazza Garibaldi del capoluogo della Valtellina si terrà la prima edizione dello “Street climbing”: cornicioni, colonne e davanzali si trasformano in divertenti passaggi con diverse caratteristiche e difficoltà. Per un giorno la città si scopre in verticale.

Una festa verticale per riappropriarsi della città capoluogo delle montagne della Valtellina, scalandone muri, cornicioni, colonne e davanzali. E' questo il "Sondrio Street climbing", la manifestazione di street boulder che si svolgerà sabato prossimo nel centro cittadino.

A partire dalle 4 del pomeriggio verrà aperto il campo base dove verrà installata una parete d’arrampicata per bambini, un igloo con musica ed esposizione dei prodotti locali. Verranno poi proiettati alcuni video e montata una Slackline. Dalle 16.30 alle 19 si svolgeranno le gare, e alle 19.30, in piazza Campello presso la Sede Credito Valtellinese, si terrà la finale “con sorpresa” a eliminazione diretta.

Alle 21 poi si tornerà tutti in Piazza Garibaldi per la premiazione dei vincitori. Qui verrà acceso il falò, offerto il Vin Brulè e saranno proiettate su un grande pannello suggestive immagini di alpinismo e arrampicata sulle montagne della Valtellina.

La manifestazione, organizzata dalla Sezione Cai Valtellinese, avverrà in coincidenza dell’annuale Festa degli Auguri di Natale del Cai


18 dicembre ROLANDO LARCHER! - 19 dicembre CHRISTMAS PARTY!


E’ una gara-raduno boulder aperta a tutti…ma proprio a tutti…!!!

Posto di Blocco sabato19 dicembre.

Vi aspettiamo a Boves per scalare tutti insieme sui nuovi blocchi e per iniziare i festeggiamenti di natale!Un bel mix tra arrampicata,musica e aperitivo finale….

La formula è la solita e collaudata: gara di tipo raduno con autocertificazione per le qualificazioni, seguite dalla finale su un unico blocco.
Si hanno a disposizione 3 ore di tempo.
Due categorie: uomini e donne.

ISCRIZIONI:
E' importante pre-iscriversi online su iscrizioni@postodiblocco.com.
Grazie alla vostra collaborazione sapremo organizzare meglio l'evento!
quindi, mi raccomando, preiscrivetevi!
PREMI:
Ricchi premi in materiale tecnico gentilmente offerti dal
BShop, Scarpa, Dogma ed estrazione finale dei premi tra tutti i partecipanti.
PROGRAMMA:
Le iscrizioni iniziano alle ore 13.30.
Alle 14.00
inizio qualificazione in un unico turno.
Alle ore 17.00 termine gara e a seguire
finali!.
Dopo restate tutti perché meritatamente si mangia,si beve,si balla, si festeggia e si PREMIA!!!!

Costo partecipazione raduno 10€

Ospiti,amici e curiosi sono graditi,

ovviamente entrata libera!!!


Happy Christmas BLOC 2009

info QUI


Mario Merelli, Cho Oyu: sollievo post battaglie

“E’ bellissimo, dopo battaglie forti come al Lhotse e al Manaslu, avere una montagna che sali con serenità, dove puoi stare 3 ore in cima ad aspettare di vedere l’Everest che esce dalle nuvole”. Così Mario Merelli racconta il Cho Oyu, una delle sue spedizioni più “belle e divertenti” coronata, pochi giorni dopo, dall’inaugurazione del Kalika Family Hospital nella valle più povera del Nepal: un progetto a cui lavorava da quattro anni con Marco Zaffaroni. Ecco il racconto e le immagini di questo viaggio, con qualche anticipazione sul futuro. Dove, forse, ci sarà il K2.

Merelli, le nozze sono arrivate dopo il viaggio. Un viaggio ricco, con una cima e l’inaugurazione dell’ospedale di Kalika. Come è andata?
E’ andata bene. L’idea dell’ospedale è partita da me e Zaffa. All’inaugurazione c’eravamo noi, ma con tanti amici tra cui mia sorella, Rita Dalla Longa che ci ha aiutato a raccogliere fondi. E’ stato bello perché la gente era felice. I due giorni di festa sono stati incredibili. Ora però dovremo lavorare ancora, per dare la “botta finale” e completare l’ospedale.

E’ già attivo?
Sì l’inaugurazione è coincisa con il primo giorno di attività. Ci sono state oltre 120 visite mediche quel giorno: vuol dire che quelle persone ne avevano proprio bisogno. Di fronte a queste cose capisci che gli sforzi sono serviti, e sono stati ricevuti bene.

Prima come facevano le persone di quella valle?
Camminavano 5 giorni a piedi. Oppure 3 giorni, poi prendevano l’aereo e poi un pullman per arrivare all’ospedale. Però se stai molto male o non hai i soldi, ovviamente non riesci ad arrivarci. Il giorno dell’inaugurazione c’era una famiglia che per venire ha camminato due giorni, portandosi un pezzo di formaggio da offrirci: ci ringraziava perché adesso l’ospedale è vicino. E magari qui ci lamentiamo perché il parcheggio è di qualche minuto lontano dall’ospedale… Lì è bastato aprirlo. Aprendolo abbiamo portato l’energia elettrica fino al paese, dove mancava anni. Arrivava in un luogo che distava solo 2 ore a piedi. Ora la possono usare anche per altre cose.

Come è nato il progetto?
L’idea è nata a Kathmandu nel 2005, dopo che siamo tornati dallo Shisha. Abbiamo scelto il luogo e poi iniziato a reperire i fondi. Qui il grazie va a tutti. Alle tantissime persone che ci hanno aiutato, da associazioni a singoli, da imprese a fabbriche, che ci hanno dato una mano forte e ce la devono ancora dare perché bisogna finirlo e gestirlo nei prossimi 5 anni. L’idea è di una cessione graduale a quella che possiamo definire “l’Inps nepalese” per salvaguardare un po’ lo sforzo fatto da eventuali interessi politici. Abbiamo fatto riunioni sul posto con la gente: il sindaco, il capo della valle e il capo dei guerriglieri, perché l’ospedale è loro. Gli abbiamo promesso che, se sapranno tenerlo bene, continueremo ad aiutarli con entusiasmo finchè saremo in vita.

Che iniziative avete usato per reperire fondi?
Anziché costruire una nostra Onlus, abbiamo pensato di sentirne altre che già esistevano. Zaffa conosceva bene La Goccia, una Onlus di Senago, nel Varesotto, e nemmeno a farlo apposta della gente di quel paese era venuta in vacanza a casa mia. Ci siamo incontrati e ci siamo affidati a loro, che già aiutavano Africa e Sudamerica con la promozione di panettoni e pandori a Natale e uova e colombe a Pasqua. La prima bella fetta di contributi è arrivata proprio da questa vendita, che si ripete tra l’altro quest’anno: loro ogni anno la fanno per un progetto diverso, a rotazione. Poi le mie serate, le conferenze, le donazioni. La cosa bella, successa anche ieri, è vedere la persona che per la strada tira fuori 50, 100 o 20 euro e te li mette in tasca dicendo che è per l’ospedale.

Facciamo un passo indietro, ora. Com’è stato questo Cho Oyu?
Prima di partire avevo detto: mi aspettano un ottomila, un novemila che è l’ospedale e un diecimila che è il matrimonio. Adesso facciamo all’incontrario, dopo aver raccontato: matrimonio e l’ospedale ecco l’ottomila. E’ stata veramente una delle spedizioni più belle, dove mi son divertito davvero. Forse perché abbiamo trovato bel tempo, forse perché la montagna non è particolarmente complicata, anche se sappiamo che si può complicare tutto col brutto tempo o se non stai bene o se le condizioni non sono buone. Forse poi ci siamo divertiti anche perché eravamo solo in due, con Mireia che ci faceva da supporto logistico: una volta è venuta anche lei a campo 1, poi ci aggiornava un po’ sulle previsioni del tempo. Veramente erano un po’ discordanti… alla fine bisognava fare ancora alla vecchia maniera, metter fuori il dito e sentire che aria tirava. Però è stato bello. Stavamo bene e l’abbiamo fatta anche in fretta, dal giorno che siamo arrivati al base al giorno di cima sono passate un paio di settimane. Per un ottomila è una bella soddisfazione.

Quindi preferisci andare in Himalaya con spedizioni piccole?
Sicuramente sì. Forse sai, nella grande c’è più confusione e magari c’è il furbetto che non sta bene quando non vuol far fatica. Invece nella piccola, non scappi. Ognuno fa quello che deve e tutto va più liscio. Credo che il futuro sarà questo: non cercare grosse spedizioni ma limitare… anche i danni. Perché se prima ho detto che mi sono divertito e che la montagna è bella, dall’altro ho visto tanta pattumiera in giro. E’ forse una delle montagne più sporche che ho visto. Dispiace perché basta poco, anzi: a campo 1 si sale e si scende velocemente in scarpe da ginnastica, sarebbe veloce portare giù tutto. E invece è così sporco a campo 2 e a campo 1. Si sa che i cinesi sono un po’ permissivi in questo, ma dovrebbe essere la nostra coscienza a dire di girarsi indietro e guardare se hai pulito tutto. Non smontare una tenda pensare che poi passerà lo sherpa, che magari la lascerà lì. Questo è un piccolo rammarico.

Quanta gente c’era?
Oltre 500 alpinisti al campo base. Come all’Everest, ma là c’è ormai un certo controllo ai campi alti e anche una certa etica. Qui se ne fregano. Al base è anche abbastanza pulito, ma loro hanno i portatori tibetani molto forti, che portano in alto veramente tanta, tanta roba. Ho visto dei sacconi incredibili a campo 1: è chiaro che poi non riportano indietro tutto… avanzi di cibo, scatolette o bombole vuote restano su. L’ho detto all’ufficiale di collegamento quando mi ha chiesto della cima. Gli ho detto che mi dispiaceva per lo sporco. Ha detto che manderà qualcuno a visionare i campi alti. Speriamo.

Com’erano i rapporti fra le spedizioni?
Non ne ho avuti molti, veramente. Eravamo un bel gruppo, con due amici di Vicenza che stavano con noi al base. Ho conosciuto una spedizione spagnola e la commerciale neozelandese di cui faceva parte l’americano morto dopo la cima. Per il resto, ci si salutava e si scalava. In mezzo a così tanta gente, puoi trovare quello più simpatico e quello meno simpatico, quello generoso e quello che vuol fare il fenomeno. Ma l’importante per me è stare con gli amici e vivere bene la montagna.

Insomma niente ingorghi come all’Everest…
No, no. Nessun problema di quel genere anche se, per carità, non è mai bello vedere tutta quella gente appesa alle jumar, è pericoloso, bisognerebbe sapersi arrangiare. Il Cho Oyu è il primo ottomila per molte persone, perché è un ottomila tra virgolette tranquillo. E’ chiaro si trova tanta gente. Anche io l’ho lasciato tra gli ultimi proprio perché volevo farlo in un’occasione un po’ particolare, non dico che pensavo già alle nozze, ma sicuramente a un giro con un’amica o semplicemente da solo. Comunque secondo me, chi si lamenta degli ingorghi farebbe meglio a stare a casa. E’ inutile pensare di andare al mare ad agosto e lamentarsi del traffico… è chiaro, come vado io, vanno milioni di persone. Anzi il traffico è bello, perché vuol dire che la passione per la montagna ce l’hanno in tanti. Sono montagne simbolo, queste.

Un po’ di tranquillità, insomma, dopo la difficile esperienza da solo sul Lhotse e dopo la perdita di un compagno al Manaslu…
Serviva qualcosa per tirar su il fiato. L’altro giorno sentivo un’intervista a Valentino Rossi, diceva che spesso dopo una brutta gara ne fa una bellissima perché gli dà la carica ritrovare una pista più adatta a lui, dove riesce bene. E’ così anche per noi: è bellissimo, dopo battaglie forti, avere una montagna che sali con serenità, dove stai 3 ore in cima, due ad aspettare lo Zaffa e una insieme ad aspettare che l’Everest uscisse dalle nuvole per portare la foto alla Hawley. Mi aveva detto che senza la foto dell’Everest non mi convalidava la cima. E’ stata la prima cosa che le ho fatto vedere. Ha riso e mi ha detto: complimenti, bravo, hai portato a casa anche questo, piano piano mi sa che li finisci. Ho risposto: sì, sì, piano… non farti sentire dalla morosa a dire che dobbiamo per forza finirli!

E la cordata con Zaffa? E’ un po’ che andate in Himalaya insieme…
Sì. Sta imparando! Questo è stato il suo primo successo pieno. E’ una persona molto preparata fisicamente, non ho vergogna a dire che forse gli manca un po’ la costante di dedicarsi all’alpinismo, per avere più confidenza coi ramponi, con la corda, i nodi. Serve, per poter aspirare a qualcosa di più impegnativo. Però è un bel compagno, perché non brontola mai, gli va sempre tutto bene… io dico che sono il capo dai 5000 in su e lui dai 5000 in giù: e non è una battuta perché se tu ti occupi di una cosa lui si occupa dell’altra. Permessi, cargo, logistica, biglietti aerei, costi, scorte di cibo: sono cose importanti, soprattutto se si è solo in due. Mi piacerebbe fare ancora qualche ottomila con lui perché li merita, è duro di capoccia. Ha avuto anche lui le brutte esperienza del Lhotse e di Giuseppe al Manaslu. Credo che adesso abbia coronato un sogno: infatti è arrivato su, si è sdraiato, piangeva. Si è commosso. Ho un’intervista dove io tengo la telecamera e a lui vengono le lacrime agli occhi. Era la prima volta che lo vedevo commuoversi, vuol dire che ci teneva davvero ad arrivare in cima. E ci è arrivato. Per cui continuerà.

Dopo questo “sospiro di sollievo” cosa ti aspetta, un ottomila difficile?
Forse, ce ne sono ancora parecchi. Non lo nascondo, c’è questo K2 che mi piacerebbe fare. Primo perché è una montagna bellissima, secondo perché dopo, non dico sia un cammino in discesa, però avrei fatto i 6 più alti. Si sente la differenza da una montagna da “ottomila-zero-qualcosa” a una di oltre 8.500 metri. Non so quando sarà.. l’anno prossimo o nel 2011, 2012, vedremo. C’è anche il GI, c’è da tornare al Dhaulagiri, al Manaslu. Vedremo un po’, sicuramente quando si fanno programmi bisogna parlarne un po’ con gli amici, non inventarti una cosa di testa tua. Vedremo insomma


ascesa monte Carmo 1398 mt.


In auto: sulla autostrada A10 Genova - Ventimiglia uscire al casello di Borghetto Santo Spirito, quindi imboccare la SP n.60 in direzione di Toirano, Calizzano e Bardineto. Oltrepassato quasi subito Toirano, la strada si inerpica e, passato il centro di Carpe, raggiunge il Giogo di Toirano (807 m).
Lasciare l'auto o in un tornante subito prima che la strada inizi a scendere verso Bardineto e Calizzano, oppure subito dopo.
L'attacco del sentiero (Alta Via dei Monti di Liguri) è ben segnalato da paline e cartelli. Attenzione però che nei pressi partono vari sentieri: cercare quindi il consueto segnavia dell'Alta Via (rosso-bianco-rosso, talvolta con la scritta "AV" in campo bianco).

per la prima volta... la prima discesa del collo di bottiglia del K2 con gli sci

news from ISLAMABAD, Pakistan -- Nessuno, quest'anno, è riuscito a toccare la cima del K2. Un uomo, però, pare sia riuscito a sciare sul famigerato Collo di bottiglia, a circa 8.350 metri di quota: un'impresa che non era mai riuscita a nessuno. Si chiama Dave Watson ed è americano. "E' un'impresa possibile, ma il vero collo di Bottiglia sono i cinquanta metri superiori" ha commentato Hans Kammerlander, che sul K2 aveva sciato nel 2001.

E' stata un'estate di fatica, sforzi immani e grandi delusioni sulla seconda montagna più alta del mondo. Erano 55 gli alpinisti che anelavano a raggiungerne la vetta. Tra loro c'erano 4 fuoriclasse che inseguivano il 13esimo ottomila: Maxhut Zhumayev, Vassily Pivtsov, Serguey Bogolomov e l'austriaca Gerlinde Kaltenbrunner, che è salita due volte, a 8.400 metri, senza ossigeno e battendo traccia insieme ai kazaki e al russo. Nessuno di loro ha toccato la cima del gigante pakistano di 8.611 metri: troppa neve.

Un americano però, è riuscito a realizzare un sogno pur senza arrivare in vetta: sciare sul Collo di Bottiglia, il vertiginoso passaggio che si trova circa 3-400 metri sotto la vetta, nella zona dove un anno fa 11 alpinisti sono morti per il tragico crollo del seracco. Watson faceva parte della spedizione commerciale Field Touring Alpine, diretta da Fabrizio Zangrilli, e ha dichiarato di aver sciato sul Collo di Bottiglia lo scorso 4 agosto.

L'alpinista ha raccontato di essere sceso da 8.350 metri fino ai 7.300 di campo 3, poi di aver tolto gli sci per scendere dalla parete attrezzata di 800 metri prima di rimetterli a 6.500 metri fino al campo base che sorge a 5.200 metri. Nella foto in calce, la serpentina fotografata da Watson sulla Spalla del K2 e sotto il Seracco.

"Lassù non pensavo a sciare - ha detto Watson -, ero così stanco e coperto di ghiaccio dopo aver aperto la traccia. Era come avere un pilota automatico nel preprarmi, cambiare i guanti, togliere gli sci dallo zaino, togliere le sovrascarpe, pulire gli scarponi dal ghiaccio, ganciare gli sci, chiudere le zip, metter via la piccozza..."

L'alpinista americano, da quanto si può dedurre dai video e dalle foto diffuse tramite il suo sito web dove si vede chiaramente la maschera, avrebbe compiuto l'impresa con l'utilizzo di ossigeno.

"E' stato difficile dal punto di vista psicologico - prosegue l'alpinista - soprattutto dopo il tragico incidente di Michele Fait, che aveva il mio stesso progetto. So che anche Kammerlander, nel 2001, era sceso con gli sci dalla cima, ma io non rivendico la prima discesa dalla montagna, volevo solo sciare sopra la spalla. Fare le curve lassù sarebbe stato la cosa più emozionante ed intensa che potessi fare".

E proprio a Kammerlander, 13 ottomila senza ossigeno e discese di sci estremo su diversi ottomila e sulle pareti più impervie del mondo tra cui, parzialmente, il canale Hornbein sulla Nord dell'Everest, abbiamo chiesto un commento sull'impresa di Watson.

"Non sapevo che qualcuno fosse sceso con gli sci dal Collo di bottiglia - ha commentato Hans Kammerlander -. Io sono sceso sciando dalla vetta con gli sci: quando sono partito dalla cima c'era ancora sole, ma dopo una mezz'oretta si è rannuvolato. Quando sono arrivato al Collo di Bottiglia era tutto bianco, non c'era più visibilità e allora ho tolto gli sci e messo i ramponi".

"Credo sia un'impresa possibile con buon meteo - prosegue l'alpinista altoatesino -, anche se forse una volta ogni molti anni, perchè è fattibile solo se c'è davvero tanta neve. La parte veramente difficile, comunque, possiamo dire il vero Collo di Bottiglia, è lungo una cinquantina di metri, ed è quello più o meno tra gli 8.400 e gli 8.350 metri. Lì è raro che ci sia neve, di solito è tutto ghiaccio e roccia, con forti pendenze. Una volta superata questa parte poi si può scendere, anzi intorno ad 8000 metri è anche abbastanza facile".

Stando a quanto riferito da Kammerlander, e supposto che le quote riferite da entrambi siano esatte (cosa non sempre scontata in alta quota), Watson avrebbe quindi sceso con gli sci solo la parte inferiore del Collo di Bottiglia. La cosa sembrerebbe trovare conferma nel resoconto pubblicato dallo stesso Watson sul suo sito, dove racconta che Watson era salito fino a 8.400 metri, poi è sceso scalando per una cinquantina di metri e lì ha inforcato gli sci.

Pare comunque che l'impresa di Watson sia una prima assoluta. "Mi congratulo con Dave per questa memorabile impresa - ha detto Nazir Sabir, presidente del Pakistan Alpine Club -. Dev'essere stata un'esperienza speciale e grandiosa riuscire a sciare sulle pendici del K2, la seconda montagna del mondo per altezza ma certamente la più bella, da quasi sotto la cima fino ai piedi della parete".

Da segnalare la discesa con gli sci dal K2 di un'altro italiano, il valdostano Marco Barmasse, che nel 1998 è sceso da sopra il campo 2, a quota 7000 metri, fino ai piedi della parete senza mai togliere gli sci. Barmasse scese dallo sperone degli Abruzzi, aggirando il Camino Bill, il tratto tecnicamente più insidioso e difficile, lasciandoselo sulla destra. Barmasse, come Kammerlander, compì l'impresa rigorosamente senza ossigeno. Quell'anno nessuno raggiunse la vetta a causa del brutto tempo.

Watson, 33 anni, ha già scalato due volte l'Everest e aveva tentato il K2 anche nel 2008, quando successe la nota tragedia. Per acclimatarsi, lo stesso anno, aveva salito il Broad Peak sciando da 7.600 metri fino al base, poi, aveva aiutato nei soccorsi dopo la tragedia del 1 agosto.




Nepal: G8 Himalayano, i ministri stilano l'Everest declaration

news from LOBUCHE, Nepal -- Una "Everest declaration" in dieci punti, in cui si chiedono delle precise azioni internazionali contro il cambiamento climatico. Ecco il prodotto del consiglio dei ministri più alto del mondo: quello nepalese, riunitosi stamattina con attorno ad una tavola a ferro di cavallo nella piana di Gorakshep, ai piedi dell'Everest, 5.200 metri di quota.

Combattere il riscaldamento globale. Preservare la biodiversità e il patrimonio mondiale. Sostenere lo sviluppo sostenibile, economico e culturale. Ecco i punti fondamentali della Everest Declaration stilata nello storico consiglio dei ministri all'Everest, organizzato per richiamare l'attenzione sullo scioglimento dei ghiacciai himalayani, che rappresenta una grave minaccia per tutte le popolazioni del sud est asiatico.

La delegazione ministeriale del Nepal è partita ieri da Kathmandu in elicottero. In testa, il primo ministro Madhav Kumar, seguito da 23 ministri, diversi funzionari statali e quasi 100 giornalisti. Il gruppo è sbarcato ieri a Lukla, 2.800 metri di quota, dove ha iniziato ad acclimatarsi. Lì c'era una folla di persone pronte ad accogliere la delegazione con entusiasmo ma anche con la richiesta di fare di più per i villaggi direttamente minacciati dall'ingrossamento dei laghi glaciali, come quelli situati nei pressi dell'Imja glacial lake.

Stamattina presto il gruppo è poi volato fino a Syangboche, sopra il villaggio di Namche, dove è stata controllata l'attrezzatura (vestiti, medicine e maschere dell'ossigeno). Dopodichè, alle 9.20 ora nepalese, ha preso il volo per Gorakshep, villaggio a 5.200 metri vicino al campo base dell'Everest e sotto il Kala Patthar. Lassù anche una squadra di soccorso, composta da diversi alpinisti, sei medici e decine di bombole d'ossigeno. Nessuno dei ministri, però, ha accusato sintomi di mal di montagna.

Il meeting, trasmesso in diretta dal canale nazionale della tv nepalese, è durato circa 20 minuti, durante i quali il consiglio ha anche dichiarato il Banke National Park parco nazionale e l'area di Api-Nampa e Gauri-Shankar aree protette. Dopodichè tutti sono risaliti in elicottero e volati di nuovo a Syangboche (3,780 metri di quota) dove hanno tenuto una conferenza stampa.

"Con questa dichiarazione vogliamo esprimere il nostro impegno a combattere le minacce del global change - ha dichiarato il primo ministro Madhav Kumar - e rendere evidenti le aree di cooperazione con gli altri Paesi".

"L'Himalaya, catena montuosa di 2.700 chilometri che culmina con l'Everest - ha detto Kumar - è di importanza fondamentale per l'equilibrio ambientale globale e per lo sviluppo e la vita di 1 miliardo e 300 mila persone. Col riscaldamento globale, tutto è minacciato da inondazioni, frane, scomparsa dei ghiacciai, siccità, deforestazione e altre calamità. Tutta l'umanità deve far fronte unita a queste conseguenze".

Il meeting ha comportato uno spostamento piuttosto mastodontico di uomini e mezzi, che ha ricevuto anche molte critiche. Il primo ministro ha voluto però compierlo ugualmente per lanciare un segnale forte d'attenzione sul problema dello scioglimento dei ghiacciai himalayani.

Le previsioni peggiori, infatti, parlano di una scomparsa dei ghiacciai himalayani nel giro di pochi decenni. Quelle migliori, di una riduzione di massa comunque pericolosa dal punto di vista ambientale, principalmente per le sue conseguenze sui fiumi e le riserve d'acqua dolce da cui dipende la vita di oltre un miliardo di persone.

Il Nepal ha deciso di organizzare questo consiglio ai piedi dell'Everest dopo un'allarmante riunione dei governi del sud est asiatico sul riscaldamento climatico, per lanciare un segnale importante a pochi giorni dal summit sul clima di Copenhagen dove i grandi della Terra si troveranno a decidere le azioni comuni da intraprendere contro i cambiamenti climatici.






happy marriage Mario e Mireira !!!

Sabato 28 nov. 2009: una sposa emozionata, uno sposo al settimo cielo ed una grande festa tra le montagne della Valseriana. Ecco le immagini dell'attesissimo matrimonio di Mario Merelli con Mireia Giralt, celebrato sabato scorso nella chiesetta di Lizzola. Stretti intorno agli sposi e all'enorme torta nuziale a forma di ottomila (con tanto di campo base), oltre duecento amici, parenti e compagni di cordata: da Mondinelli a Da Polenza, da Zaffaroni a Confortola.

"Nevicava, c'era brutto tempo in quella spedizione al GI - ha raccontato Mario Merelli -. E' lì che ho conosciuto Mireia... e oggi l'ho sposata. Non tutto il maltempo viene per nuocere. Quella volta la cima non l'ho fatta, ma oggi ho toccato il cielo con un dito".



via nuova per 3 italiani nella valle del Khumbu

news from KATHMANDU, Nepal -- Una via nuova sull'Hama Yomjuma, cima di 5.970 metri nel cuore della valle del Khumbu. E' stata battezzata "Ramri Keti" la bella realizzazione su misto del bergamasco Francesco Cantù con due guide Valdostane, Enrico Bonino e Nicolas Meli.

La via, lunga 1100 metri e gradata 5+/m7/5a, si snoda sulla parete Nord della montagna lungo un impegnativo tracciato di roccia e ghiaccio. I tre alpinisti sono partiti dal villaggio di Lungden, a 4.200 metri di quota, e con tre ore di avvicinamento hanno raggiunto la base della parete. Dopodichè hanno iniziato la salita, conclusa in tre giorni con due bivacchi in parete.

"Dopo alcuni metri ghiaccio delicato, la parete si trasforma in uno stretto diedro roccioso che mi impegna per un'ora - racconta Bonino -. Siamo ormai a 5800 metri e ogni sforzo e' un'impresa. Verso la cima del tiro, cercando di piazzare una protezione veloce sotto uno strapiombo, la piccozza perde la presa e salto di sotto qualche metro. Nulla di grave, un voletto se non fa male da' la sveglia, e dopo un bivacco in parete e' capitato al momento giusto".


il più vecchio salitore dell'Everest

news from KATHMANDU, Nepal -- E' ufficiale: il più anziano salitore dell'Everest è il nepalese Min Bahadur Sherchan, che ha scalato la montagna più alta del mondo nel maggio 2008 all'età di 76 anni. Il record è stato a lungo oggetto di contesa tra lui e il giapponese Yuichiro Miura, a cui il Guinness aveva inizialmente riconosciuto il primato per mancanza d'informazioni sulla salita del nepalese.

Il Guinness dei Primati ha ufficialmente riconosciuto il record di Sherchan con una "cerimonia di investitura" tenutasi ieri a Kathmandu alla presenza del primo ministro nepalese Madhav Kumar e di altre autorità del paese.

"Sono contento che alla fine si sia sistemato tutto - ha dichiarato Sherchan all'Afp -. L'anno scorso avevano dato il record a un alpinista più giovane di me di un anno, solo perchè non avevo fatto richiesta al Guinness. Ma io non sapevo di doverla fare per conto mio, pensavo che ci avrebbero pensato le autorità".

Sherchan, nato il 20 giugno 1931, è un ex-militare dell'esercito britannico. Il Guinness ha certificato che è arrivato in cima il 25 maggio 2008, all'età di 76 anni e 340 giorni. Era il suo primo tentativo di scalata. "Sapevo che ce l'avrei fatta - ha detto l'alpinista - lo sapevo fin dall'inizio. Volevo arrivare in cima per la pace nel mondo. Ero determinato a farcela anche a costo di rischiare la vita, ma devo dire che non ho avuto grossi problemi".

Questa facilità nel riuscire ad arrivare sulla vetta dell'Everest, considerata in Nepal la dea madre della terra, ha scatenato un enorme entusiasmo in Sherchan e nella comunità del suo villaggio. Tanto che qualcuno ha iniziato a credere che l'alpinista possa diventare l'incarnazione di un dio quando raggiungerà gli 84 anni.

"Sono molto felice - ha commentato durante la cerimonia - e spero di provarci ancora quando avrò compiuto gli 84 anni"