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Luisa Iovane, la prima donna dell'arrampicata italiana

"Quando ho cominciato ad arrampicare essere una donna per qualcuna è stata forse una discriminazione. Invece io sono stata avvantaggiata, perché non avevo mai problemi a trovare compagni di cordata, erano tutti molto ben disposti ad insegnarmi, ad accompagnarmi, a sopportare le mie prime debolezze". E non è difficile crederle visto che Luisa Iovane è stata una delle prime donne dell'arrampicata italiana e mondiale, sia in ordine di tempo sia perché tra le più forti di sempre. In questa sua videointervista la fortissima climber ci racconta com'era arrampicare allora e come è diventata oggi.

Nata a Mestre nel 1960, laureata in geologia, Luisa Iovane è una tra le migliori alpiniste di tutti i tempi. Minuta e determinatissima, nei primi anni '80 faceva parte di quel gruppo di straordinari arrampicatori che hanno fatto la storia di molte tra le più difficili scalate in Dolomiti e nella valle del Sarca.

Insieme a mostri sacri del calibro di Manolo, Roberto Bassi, Bruno Pederiva, e Heinz Mariacher, di cui è tuttora compagna di vita, la Iovane ha rivoluzionato il mondo verticale. Protagonista assoluta dell'arrampicata sportiva, le sue vittorie non si contano. Ha portato a casa infatti, moltissime gare, rimanendo, inossidabile, al top ancora oggi.

In questa sua videointervista ci parla dei sui inizi, e di come sono cambiate le cose negli ultimi trent'anni. Oggi il gentil sesso vive l'arrampicata alla pari dei colleghi maschi. Ma, certo, le differenze c'erano allora e ci sono tuttora, anche se più che una questione di possibilità, per la Iovane la differenza sta nell'indole.

"Gli uomini nell'arrampicata sono come al volante - dice scherzando -. Mi sembra un paragone abbastanza calzante. Tu non vedrai mai le donne così incattivite, e lo stesso nell'arrampicata. Le donne arrampicano finché si divertono però non si sentono offese se la donna affianco arrampica meglio. Mentre per i ragazzi devo dire che è così".


Pustelnik: sarò pazzo, ma riprovo l'Annapurna

"Chiamatemi pazzo, ma io ci riprovo". Con queste parole il fuoriclasse polacco Piotr Pustelnik ha annunciato, nei giorni scorsi, un nuovo tentativo all'Annapurna, che dovrebbe diventare il suo 14esimo ottomila. Pustelnik, 58 anni, ha già tentato 5 volte di salirlo senza successo, e ha annunciato più volte di voler rinunciare all'alpinismo e andare in pensione.

Ma a quanto pare, proprio non ci riesce.

L'ultimo tentativo all'Annapurna di Pustelnik risale alla primavera 2008 con Piotr Morawski e Peter Hamor: i tre avevano provato a salire, in stile alpino, la via dei cecoslovacchi Nezerka e Martis sulla parete Nordest. Stavolta, però, la cordata non potrà ripetersi. Morawski, infatti, è scomparso la scorsa primavera sul Dhaulagiri, cadendo in un crepaccio.

"Penso ancora con commozione a lui e a quello stupido incidente - ha detto Pustelnik a Explorersweb -. Ma io e Hamor dobbiamo uscire dall'ombra della sua morte. Questa salita sarà il nostro omaggio per lui". All'Annapurna, però, non ci saranno solo Pustelnik e Hamor. Il polacco ha annunciato che sta costruendo una squadra d'eccezione, di cui probabilmente farà parte anche il russo Serguey Bogomolov.

Pustelnik è il quarto pretendente ai 14 ottomila che si troverà l'anno prossimo ai piedi dell'Annapurna. Oltre a lui, la coreana Oh Eun Sun, il portoghese Joao Garcia e la basca Edurne Pasaban, a cui manca però ancora lo Shisha Pangma.



Cecilie Skog al Polo dopo l'incubo K2

news from OSLO, Norvegia -- Ritorno alla neve, ritorno alla vita. Sta uscendo dall'incubo la bella norvegese Cecilie Skog, che l'anno scorso scampò alla tragedia del K2, dove assistette impotente alla scomparsa del marito Rolf Bae, trascinato nel vuoto dal crollo del seracco. La Skog, unica donna ad aver salito le 7 summits e raggiunto sugli sci i due poli, tra poco ritornerà in Antartide per un viaggio di 1300 chilometri con gli sci, senza aiuti esterni.

"Rolf se n'è andato, ma non i miei sogni - ha detto la Skog ad Explorersweb in una recente intervista -. Gli ultimi 15 mesi sono stati durissim. Ma io continuo a sognare viaggi, notti in tenda, soffi di vento e neve. Cose che mi fanno sentire viva. E' dura, ora, provare a inseguire questi sogni, ma lo sto facendo".

Trentacinque anni, mille ricci e due occhi di ghiaccio, la Skog è sia guida alpina che infermiera professionista. A breve partirà con l'americano Ryan Waters per l'avventura antartica: calzeranno gli sci sulla Berkner Island e si dirigeranno verso il Polo Sud, lungo un itinerario sconosciuto ad entrambi: 1300 chilometri da percorrere in totale autonomia.

Durante il viaggio, la Skog userà un paio di sci disegnati da lei appositamente per le donne: leggeri e poco sciancrati, sono stati studiati per persone leggere che con gli sci camminano ma devono anche trainare una slitta. Li ha usati e testati la primavera scorsa, durante una traversata in Groenlandia, e ora li userà in Antartide.

"Sono contenta di ritornare al polo Sud - ha detto l'esploratrice, che era già stata in Antartide con marito -. Non vedo l'ora di scoprire angoli nuovi di quel continente e spero di avere tempo di sciare anche sull'Axel Heiberg Glacier, dove passò Amundsen cento anni fa e dove Rolf ed Eirik sciarono nel 2001".

Bae, nel 2001 aveva compiuto con Eirik Sønneland una traversata dell'Antartide entrata negli annali dell'esplorazione polare: 3.800 chilometri sugli sci, dalla base norvegese Troll Base nelle Droning Maud Land, fino alla Base Scott. Tutto in 107 giorni e in completa autonomia.

L'esploratore norvegese, che con la moglie è stato su diversi ottomila, vantava anche un curriculum alpinistico d'eccezione: sua è la prima ripetizione della leggendaria e terribile via dei Norvegesi aperta nel 1984 da Hans Christian Doseth sulla Torre grande di Trango: arrivò in vetta dopo 27 giorni in parete con 3 compagni.

Sul K2, però, nel 2008 non riuscì ad arrivare in cima, al contrario della moglie. La Skog toccò la vetta alle 5.20 del pomeriggio di quel tragico 1 agosto, mentre il marito si era fermato 300 metri più in basso. Scendendo si sono ricongiunti, ma il crollo del seracco travolse in pieno Bae sotto gli occhi della moglie. La Skog, di recente, ha scritto anche un libro sulle avventure del marito: “Til Rolf, Tusen fine turer og en trist”.



arrampicata Verdon: Toni Lamprecht libera "Le Vieux et la mer"

Quest'estate Toni Lamprecht, Uli Strunz e Benno Wagner hanno liberato la via di più tiri "Le Vieux et la mer" 8b nel Verdon Gorge, Francia.

Le
Gorges du Verdon in Francia sono sempre state un richiamo irresistibile per tutti gli arrampicatori del mondo e anche se questo mare di calcare non è più il banco di prova per l'elite mondiale come lo era negli anni '80, ogni tanto le sue pareti offrono qualche nuovo luccicante gioiello da cercare. L'ultima bellissima gemma ad essere stata scoperta è "Le Vieux et la mer", una via di sette tiri aperta dai tedeschi Toni Lamprecht, Uli Strunz e Benno Wagner nell'estate 2008 e liberata nell' agosto 2009 sullo spettacolare pilastro del settore Ula.

Dopo avere lavorato tutte le sequenze, Lamprecht è riuscito a liberare tutti i tiri, dicendo poi "anche se non siamo riusciti a liberare tutti i tiri in giornata di "Le Vieux et le mer" (6b, 7a+, 8b, 8a, 6a, 7c+, 7a), la via è la conquista più grande della mia vita in questa gola magica." Aggiungiamo noi che c'è ancora molto potenziale nel Verdon e siamo convinti che un giorno queste lisce pareti troveranno nuovamente un grande interesse anche dai migliori al mondo.



gruppo alpinistico "Scoiattoli" di Cortina: direzione Ama Dablam

Belluno -- Nuova avventura himalayana per gli Scoiattoli di Cortina. Mario Lacedelli, nipote del celebre Lino, partirà tra pochi giorni con Renato Sottsass e Luciano Zardini per una spedizione autunnale nella valle del Khumbu: nel mirino l'Ama Dablam, 6856 metri: una guglia che per la sua bellezza è stata soprannominata "gioiello del Khumbu" o "Cervino dell'Himalaya".

La spedizione partirà il 27 ottobre ed è stata organizzata in occasione del 70esimo anniversario del sodalizio degli Scoiattoli, fondato il 1 luglio 1939. La scalata dell'Ama Dablam coronerà un anno di celebrazioni che sinora hanno visto numerosi eventi e una spedizione di arrampicata sportiva in Marocco durante la quale gli Scoiattoli hanno aperto una via nuova di 7c+ nelle gole di Taghia, dedicandola a Luigi Ghedina "Bibi", scomparso di recente.

"E' tanto tempo che volevamo andare all'Ama Dablam - spiega Mario Lacedelli, che guiderà il gruppo in Nepal -. E' una salita classica ma bellissima. Partiremo il 27 ottobre e rientreremo il 21 novembre. Saremo in sei: tre Scoiattoli e tre ragazzi del Cai, tutti atleti che hanno fatto parte della nazionale di bob".

Oltre ai tre Scoiattoli che nel 2004 erano stati al K2 in occasione del 50esimo anniversario della prima salita, il team ha quindi altri tre componenti: Giorgio Costantini Fabio Pavanello e Gianfranco Rezzadore. Il gruppo sarà di rientro il 21 novembre, in tempo per le grandi celebrazioni di chiusura del 70esimo anniversario del gruppo.

"Il 7 dicembre verrà presentato il film sulla stori degli Scoiattoli - racconta Lacedelli -. E' un film di 76 minuti, dedicato ai nostri settant'anni di storia, con interviste ai più grandi dei nostri alpinisti".


l'Annapurna respinge "Miss Oh"

news from KATHMANDU, Nepal -- Il vento l'ha respinta. E ora, sta facendo le valigie per tornare in Corea. E' andato a monte, stamattina, il tentativo della coreana Oh Eun Sun all'Annapurna. E ritorna così tutto come prima nella corsa femminile al primato dei 14 ottomila, che per quest'autunno si conclude senza "vincitrici". Se ne riparlerà la prossima primavera con quello che promette di essere uno vero e proprio sprint finale.

Ci ha provato fino all'ultimo, Miss Oh. Ha provato a salire ancora una volta, quando tutte le montagna himalayane erano ormai state abbandonate dalle spedizione per le impossibili condizioni meteo che, alle porte dell'inverno, portano in quota bufera e gelo. Ma, come forse era prevedibile osservando le previsioni, è andata male.

L'alpinista coreana è partita sabato mattina dal campo base per tentare di raggiungere il suo 14esimo ottomila. E' arrivata di nuovo a campo 3, insieme con Kim Chang-Ho, Suh Sung-Su e degli sherpa. Ma questa mattina ha dovuto fare dietrofront per le fortissime raffiche di vento che toccavano i 100 chilometri orari e impedivano di continuare la salita. Ora si trova al campo base, 4.200 metri, che lascerà entro pochi giorni.

"In montagna non si è mai sicuri di niente - ha detto Miss Oh -. Avrò un'altra occasione, sono abbastanza saggia da adattarmi al volere della natura. Come disse una volta Chris Bonington, una sfida non ha senso senza pericolo e senza fallimenti".

Miss Oh, che attualmente ha scalato 13 ottomila ed è in testa alla corsa per il primato femminile, tornerà all'Annapurna, unica cima che manca alla sua collezione, in primavera. Allora ci sarà anche Edurne Pasaban, che quest'autunno è tornata a mani vuote dallo Shisha Pangma: la basca, che ha salito 12 ottomila, pianifica di salire entrambe le montagne nella primavera 2010.

In primavera tornerà in campo anche Gerlinde Kaltenbrunner, austriaca, unica delle tre ad aver salito tutti i suoi 12 ottomila senza mai aver fatto uso di ossigeno. A lei mancano Everest e K2, i due ottomila più alti.



farewell my old rude car! Carlitos' Peugeot 206 - FIRST & LAST ASCENT




FAREWELL BABE!



"Totem Pole" Tasmania (salita in libera)

Doug McConnell e Dean Rollins, lo scorso gennaio, hanno salito in libera tutti i tiri della prima via aperta sul Totem Pole in Tasmania.

Le notizie dall'altro capo del mondo a volte ci mettono un po' ad arrivare fino al vecchio continente: lo scorso gennaio la via originale che sale uno dei pilastri più famosi dell'Australia, il Totem Pole lungo la costa sud est della Tasmania, è finalmente stata salita in libera da Doug McConnell and Dean Rollins. Dopo uno sforzo durato quasi 9 mesi i due climbers locali sono riusciti a liberare tutti i tiri di questa fantastica via, salita per la prima volta nel 1968 con l'aiuto dell' artificiale da John Ewbank and Allan Keller in 1968.

La via di tre tiri è ora stata gradata 27, circa 7c (ma da autoproteggere), e i due arrampicatori sono i primi a dire che il loro stile di salita lascia molti spazi di miglioramento: Doug e Dean erano riusciti a liberare i tre tiri in giorni diversi. Secondo loro, poi, i tiri 2 e 3 possono essere saliti in un'unica lunghezza. Quindi la sfida rimane ancora aperta, coloro che aspirano a salire la via in un'unica “corsa" devono sapere che la linea è protetta da nuts e friends non facili da piazzare, che le protezioni sono distanti e che sicuramente l'arrampicata non è regalata per quel grado.

Totem PoleIl Totem Pole, anche conosciuto semplicemente come the Tote, è uno dei tre strabilianti pilastri di dolorite a picco sul mare della costa sud orientale della Tasmania, al largo dell'Australia. E' stato salito per la prima volta nel 1968 da John Ewbank e Allan Keller con l'uso dell'arrampicata artificiale. Nel 1995 invece è stato salito per la prima volta in libera da Simon Mentz e Steve Monks lungo la via chiamata, ovviamente, The Free Route. L'arrampicata sul pilastro è sempre legata ad una grande avventura che rende la salita memorabile: dopo un avvicinamento di due ore bisogna calarsi in doppia fino al livello del mare, poi “pendolare” verso il pilastro ed afferrare dei chiodi per raggiungere la cengia da dove partono le vie. Una volta in cima si riacquista nuovamente la “terra” con un traverso alla tirolese utilizzando le corde usate per le doppie.Nel 1998 l'arrampicatore inglese Paul Pritchard è quasi deceduto sul Pole ed in seguito alle sue ferite è rimasto parzialmente paralizzato. La sua storia è stata raccontata nel suo pluripremiato libro "Totem Pole" (Vivalda Editori).



Lavarda & Ronchi e la libera di Solo per vecchi guerrieri

Intervista a Jenny Lavarda dopo la prima libera femminile di “Solo per vecchi guerrieri” (150m, 8c+/9a, Vette Feltrine, Dolomiti), via aperta e liberata da Manolo e poi ripetutata in libera da Mario Prinoth e Riccardo Scarian. Con lei c'era Marco Ronchi che nella stessa giornata ha centrato anche lui la libera e la 4a ripetizione rotpunk della via.

E' successo il 5 ottobre scorso. “E' stato: un giorno che non dimenticherò mai per tutta la vita.” ha scritto Jenny Lavarda sul suo sito. “Due mesi di tentativi per 4 lunghezze di corda su una placca assolutamente pazzesca... Un grande viaggio nel quale ho scavato molto dentro me stessa ricercando i miei limiti fisici e mentali”.Il viaggio è quello di “Solo per vecchi guerrieri” la via che, nel 2006, Manolo ha aperto e liberato sulla parete nord de "El Colaz" nelle Vette Feltrine. Una gran via stile Manolo, o stile “Mago” se preferite.150m per 4 lunghezze con difficoltà di 7c, 7b+, 8b e 8c+/9a che avevano già conosciuto la prima ripetizione in libera da parte di Mario Prinoth e poi di Riccardo Scarian, ovvero due “gran signori” dell'arrampicata multipicht ,ma non solo.Con queste premesse è chiaro che ci è venuta voglia di saperne di più di questo nuovo doppio viaggio in libera da parte di Jenny Lavarda e di Marco Ronchi...

Jenny, allora com'è stata la libera di “Solo per vecchi guerrieri”, sei anche tu una “guerriera”...Un po' sì, nel senso "buono" del termine mi sento una “guerriera”. Quella della libera è stata una giornata assolutamente perfetta. Forse una delle più belle e soddisfacenti di tutta la mia vita… un vero e grande sogno che si è realizzato. Anche per Marco è stata una bella esperienza; a dire il vero lui si è sentito un guerriero a fare così tante volte la camminata di avvicinamento.

Una felicità allo stato puro, dunque. Ora però devi spiegare a chi non sa niente della via di Manolo cos'ha di speciale “Solo per vecchi guerrieri”... Cosa ti ha conquistato?Difficile spiegare in poche parole cos'ha di speciale; forse il vuoto, il calcare eccezionale, la linea purissima o gli appigli perfetti.... non lo so nemmeno io. L'unica cosa di cui sono sicura è che nel 2006 questa via mi ha stregata e da allora non me la sono più levata dalla testa. Marco, invece, non sa nemmeno lui cos'ha di speciale questa linea. Lui è venuto semplicemente ad accompagnarmi e si è ritrovato a non dormirci più la notte per quei “movimenti” che gli avevano invaso il cervello... si svegliava di soprassalto nella notte pensando a qualche soluzione per risolvere più facilmente una sequenza... E' semplicemente una linea magica che ti prende e ti tocca dentro.

Facciamo un passo indietro. Prima di “Guerrieri” con quali altre vie multipicht ti eri confrontata?Quando ero piccola ho scalato molto con mio papà in montagna, e fare vie lunghe mi è sempre rimasto nel cuore. Allora ne ho fatte molte da seconda di cordata perchè ero molto piccola. Solo nel 2006 ho avuto la fortuna di accompagnare il mio amico Mauro Bubu Bole sulla "Larcher-Vigiani" sulla sud-ovest della Marmolada. E quella è stata davvero un'esperienza che mi è rimasta dentro. Adoro la montagna, e ritornare dopo molti anni alla mia più grande passione è stato assolutamente magico ed incredibile.

Il primo incontro con “Guerrieri” l'hai avuto insieme a Bubu Bole nel 2006... com'è andata quella volta? E come mai è passato così tanto tempo, perchè l'hai messa nel “cassetto”?E già.. la prima volta che ho messo mano su quella splendida linea è stato nel lontano ottobre del 2006 assieme a Mauro Bubu Bole. Mi aveva chiesto se avevo voglia di accompagnarlo e subito ho accettato. Mi ricordo perfettamente che eravamo in 4 appesi su quella via: non solo io e Bubu ma pure Mario Prinoth e Riccardo Scarian. L'avevamo lavorata per circa un mese ma tra un impegno e l'altro, il freddo, le mie gare e altri problemi abbiamo dovuto lasciar perdere... un vero peccato. Purtroppo poi non ho più avuto l'occasione di ritornarci perchè Bubu ha abbandonato il progetto e trovare un compagno adatto per questa via è stato piuttosto difficile... Ma “Guerrieri” mi è sempre rimasta nella testa e nel cuore. E finalmente quest'anno ho avuto l'occasione di ritornarci e di realizzare così un mio grande sogno.

Dunque l'hai ripresa in mano quest'estate insieme a Marco Ronchi. Ci puoi fare una breve cronistoria dei vari step che avete affrontato e lo stile che avete usato...Sì quest'estate in compagnia di Marco abbiamo deciso di provare “Solo per vecchi Guerrieri”. Le prime volte sono state solo di ricognizione e poi, piano piano, abbiamo incominciato a provare le sequenze, cercando di trovare le migliori soluzioni. Ci vuole molta umiltà per affrontare una salita così dura... e così le prime volte si provava in top rope, anche perchè i primi tiri sono spittati piuttosto lunghi e quindi non si può assolutamente sbagliare. Quando tutti i tiri sono stati perfezionati movimento per movimento, piede per piede, abbiamo incominciato a provarla sin dalla prima lunghezza in continuità... e finalmente lunedì 5 ottobre, dopo esserci andati vicino la volta precedente, soprattutto io, siamo venuti a capo di questo bellissimo capolavoro.

Per la cronaca “statistica”. Hai quantificato il numero dei tentativi?Sinceramente non ho mai quantificato il numero di tentativi, perchè come ho già detto le prime settimane le abbiamo passate in top rope, provando e riprovando solo i singoli movimenti. Le prime volte è stata veramente dura. Era come un rebus... fin da subito abbiamo capito che il problema non era la continuità ma trovare la giusta soluzione dei movimenti, soprattutto per i piedi...

E i voli li avete contati? Dicono che soprattutto nel primo tiro di Guerrieri bisogna avere un po' di fegato per salire da primi... tu come l'hai trovato?I voli sull'ultimo tiro sono stati parecchi, soprattutto nel lancio a metà lunghezza, dove ero costretta a fare un vero e proprio lancio perdendo completamente il contatto con la roccia... Il primo, ma soprattutto il secondo tiro, sono spittati piuttosto lunghi e lì bisogna stare veramente molto attenti; anche per questo abbiamo optato per conoscere bene la via e ogni singolo movimento per non rischiare così di farci male...

Sai bene che in questo piccolo grande mondo dell'arrampicata sono in molti ad essere sempre dubbiosi sulle realizzazioni altrui... Anche per te è arrivata qualche domanda in passato. Tu cosa ne pensi, e soprattutto cosa risponderesti riguardo ad eventuali dubbi sulla tua salita di “Guerrieri”?Cosa ti devo dire, non sono certamente una che si fa condizionare da queste voci; è chiaro che mi danno fastidio ma non posso farci nulla. Mi sento solo di dire a queste persone che dovrebbero spendere il loro tempo in cose più importanti piuttosto di perderlo ad infangare il nome e le performance altrui. Non so se si tratta di invidia o altro, io vado avanti per la mia strada e non sono la tipa che gli telefona a casa per dirgli: "Ehi guarda che oggi la faccio che ne dici di venire a vedere:"... E poi siamo in un paese democratico e ognuno può pensare ciò che vuole. Sta di fatto che, sempre per la statistica e se proprio volete saperlo, sia in occasione di Pietramurata 8b+ che di Reini's Vibes 8c/c+ in falesia c'erano parecchie persone, anche molto conosciute nell'ambiente. Quindi... Poi, io non metto mai in dubbio le realizzazioni altrui. E poi scusate, anche se non c'entra nulla, non sono proprio una che non ha vinto niente. Non possono proprio dire che non mi tengo... Mi farebbe piacere portare eventualmente queste persone a riprovare la via insieme, magari poi cambiano idea...

Aldilà del grado. Quali sono le difficoltà maggiori che hai incontrato su questa via? E quali sono le differenze di impegno, se ci sono, rispetto a monotiri da te saliti, ad esempio Claudio Cafè 8c/8c+ e Reini's Vibes 8c/8c+?Una via in montagna non è come una via in falesia, certamente il fattore "testa" gioca un ruolo fondamentale. In falesia si è certamente molto più rilassati. Se devo essere onesta il mio più grande problema è la paura di sbagliare la sicura al compagno. Su “Guerrieri” si scala su una placca verticale, e sbagliando i tempi della sicura si rischia di far molto male al tuo compagno... A volte è stata dura, ero nervosa perchè avevo paura di sbagliare e di fare male a Marco... ma per fortuna tutto è andato bene.

Poi è arrivata la doppia libera, tua e del tuo compagno di cordata Marco nella stessa giornata...Già, è stato un giorno assolutamente fantastica... La temperatura e le condizioni erano perfette. Sì è stata una giornata magica e speciale.... e la doppia libera mia e di Marco è stata proprio la ciliegina sulla torta.

La cosa più bella di “Solo per vecchi Guerrieri?Sicuramente essere riuscita nell'impresa assieme al mio compagno Marco, nello stesso identico giorno... Ma la soddisfazione di realizzare questo capolavoro è stata incredibile. Penso che un'emozione del genere nella mia vita non l'avevo mai provata. Quando sono riuscita a fare finalmente in continuità il lancio e a chiudere i conti con la via un'immensa felicità e soddisfazione mi ha pervasa. Era un grande sogno della mia vita che si realizzava... la montagna è sempre stata nel mio cuore...

E la più “brutta”?I voli... ogni volta erano delle grandi botte.

Ora che ti sei lanciata in parete, pensi che sia l'inizio di una nuova fase per te? Insomma ti vedremo più spesso sulle multipicht?Ho ancora un altro progetto che mi frulla per la mente, vedremo. E' una via importante che ho nel cuore... pensa che ho attaccato la relazione della via nella mia camera e prima di andare a dormire ogni volta me la guardo... ma prima o dopo le mani lì le vado a mettere...

Cosa ti ha insegnato “Solo per vecchi guerrieri”?Guerrieri mi ha insegnato che in arrampicata i piedi servono... eccome se servono...

Com'è Jenny Lavarda... come ti senti di essere?Mi sento solo una ragazza che nella vita si è allenata sempre tanto e molto seriamente, che ha sempre visto con ammirazione sincera le performance altrui, che non ha mai guardato gli altri con invidia e che ha cercato sempre di andare avanti per la sua strada senza calpestare quella di nessuno.

Come ci si sente da “guerriera”?Mi sono sempre sentita una "Guerriera"... non solo perchè ho fatto questo grande capolavoro di via... sono una guerriera nella vita, sempre pronta a combattere e ad affrontare ogni singolo problema. Bisogna essere guerrieri nella vita per ottennere certi risultati... bisogna sentirselo dentro. E io me lo sento.



Pablito, Enriquez y Carlitos en la jaula de los ratones




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spedizione finita per gli italiani al Dhaulagiri

news from KATHMANDU, Nepal -- Spedizione finita anche per i piemontesi impegnati sulle pendici del Dhaulagiri. Ivo e "Cala" Cimenti, intenzionati a salire e scendere l'ottomila nepalese con gli sci, hanno tentato la scalata dopo il forte maltempo dell'ultima settimana. Ma hanno trovato distrutti i campi alti e, dopo due notti in trune di neve, hanno deciso di rientrare in Italia.

"Al campo 1 era tutto distrutto - dice Cimenti sul suo blog -. Al campo 2 non abbiamo più trovato nulla. Abbiamo scavato dove avevamo le indicazioni del gps ma niente, nessuna traccia della tenda e di tutto il materiale che avevamo dentro. Non possiamo più tentare una seconda volta ormai, non abbiamo più nulla".

I due alpinisti erano partiti tre giorni fa dal campo base, salendo lungo un canalino che sembrava più sicuro della via normale dove le corde erano state sepolte dalla neve. Arrivati a campo uno, l'amara sorpresa: "La tenda era a pezzi sotto 4 metri di neve - hanno detto gli alpinisti -. Abbiamo passato una notte tremenda in truna".

Il giorno successivo, i due hanno proseguito verso campo due, ma non sono riusciti a raggiungerlo. Hanno scavato un'altra truna a 6150 metri, poi sono saliti fino all'altezza del secondo campo ma non hanno trovato nulla. Così, sono scesi: Cimenti con gli sci direttamente fino al base, il compagno, invece, ha pernottato a campo 1.

"Partiremo il 16 ottobre col trekking di ritorno - dicono gli alpinisti -. Il paesaggio cambia continuamente, sono scese tantissime slavine che hanno cancellato tutto, portato via ogni cosa, impossibile proseguire in queste condizioni. Non so come faremo, i passi sono invalicabili, abbiamo sentito tanti elicotteri: credo che siano i trekkers saliti nella valle in questi giorni, devono essere rimasti bloccati".



Markus Bock, Sarah Seeger e Adam Ondra e l'arrampicata in Frankenjura

In Frankenjura, Sarah Seeger sale Steinbock 8c, Markus Bock libera la sua via più difficile The Man That Follows Hell 9a+, mentre Adam Ondra ripete in velocità due vie test nella più famosa area dell'arrampicata sportiva in Germania.
Un autunno finalmente fresco ha facilitato alcune salite importanti in Germania e precisamente in Frankenjura. Sabato 3 ottobre, Sara Seeger ha approfittato della ritornata aderenza con la sua rotpunkt di Steinbock, un 8c super strapiombante composto di 22 movimenti nella falesia Orakel. Dopo il concatenato di Ronin (10+/11-) un paio di mesi fa, Steinbock è ora la via più difficile nel palmares di Sara e, contemporaneamente, anche la via più dura mai salita da una donna in Frankenjura.


Il giorno dopo il successo di Sara, Markus Bock ha vissuto "uno dei giorni più felici" della sua carriera arrampicatoria liberando The Man That Follows Hell nella falesia Grüne Hölle. L'ultimo sforzo di Markus era in realtà un vecchio progetto di Milan Sykora (per intenderci, l'uomo che aveva tracciato la linea di Action Directe) ed è la partenza diretta della via Kawaschuwu (8c+). Questa versione raddrizzata è stata valutata 9a+ e il 30enne la descrive per la rivista tedesca Klettern come "16 movimenti - esattamente lo stesso numero di Action Directe 9a - con un'arrampicata e un'angolazione simile - ma i singoli sono nettamente più difficili." Markus, il 4 ottobre, è riuscito a tenere la tacca del passaggio chiave al settimo tentativo creando così la via più difficile del Frankenjura, assieme alla sua via Corona del 2006.

Per finire... lo scorso weekend Adam Ondra ha ripetuto al terzo tentativo proprio l'appena nominata Kawaschuwu, giusto un giorno dopo aver salito Pantera (9a).
Per quest'ultima Adam ha impiegato "ben" quattro giorni, quasi un "record" per il giovane ceco, che magari avrà già individuato in "The Man That Follows Hell" il suo prossimo obiettivo.


furto delle tende: Mario panzeri costretto a tornare

news from LHASA, Tibet -- Una pala da neve rossa e quattro fittoni per terra. Questo il desolante spettacolo trovato da Mario Panzeri a campo 1, dove l'alpinista aveva lasciato una tenda d'alta quota con i materiali necessari alla salita. Tutto sparito. Smontato e preso, probabilmente, dalle commerciali che hanno lasciato la montagna la settimana scorsa. Così è andato in fumo l'ultimo tentativo di vetta dell'alpinista lecchese che ora, arrabbiato e rassegnato, si trova costretto a rientrare in Italia.

"Non dico che non sono andato in cima perchè mi han rubato la tenda - si sfoga Panzeri - però almeno provavamo... Cavolo, le condizioni erano ottime. Meglio che in primavera. Ha nevicato tanto, ma poi c'è stato un vento fortissimo a 80-100 all'ora che ha pulito tutto. La parete era perfetta, dovevi vedere che neve".

Rabbia e sconforto. Questo trapela dalla voce di Mario Panzeri, che oggi avrebbe dovuto essere diretto verso la cima dello Shisha Pangma e invece si ritrova a preparare i bidoni per il rientro. Tutto è accaduto ieri, quando con Nick Rice, Kinga Baranowska e il rumeno Horia sono partiti per tentare di nuovo di raggiungere la cima vera dell'ottomila tibetano.

"Sono arrivato a campo 1 all'una e un quarto - racconta Panzeri -. Mi sono guardato in giro e non vedevo la tenda. C'erano solo quella dei catalani, una tenda vecchia e vuota, e una borsa rossa di una donna giapponese che è appena arrivata coi suoi sherpa. Controllando meglio, ho visto, là dove doveva esserci la tenda, la mia pala e i 4 fittoni da neve che avevo usato per fissarla".

"Non è tanto per la tenda - spiega l'alpinista -, ne avevamo una di scorta perchè non ero sicuro di ritrovare le tende ai campi alti. Quella di campo 2, per esempio, prima la vedevo col binocolo, dopo la bufera non la vedevo più. Avevo preso con me anche giacca a vento e pantaloni da usare per la cima, nel caso non avessi trovato la tuta d'alta quota che avevo lasciato a campo 3. Però campo 1 era riparato. E lì c'era tutto il materiale per la salita: sacco a pelo, guanti d'alta quota, fornelletto, e via dicendo".

Tentare di salire senza quel materiale sarebbe stato impensabile. A Panzeri, che inseguiva il suo 11esimo ottomila senza ossigeno, e ai suoi compagni, non è rimasta altra scelta che scendere. Con i nervi a fior di pelle, anche perchè ormai non c'è modo nè tempo di recuperare quello che manca.

"Sono arrabbiato nero - dice ancora Panzeri -. Siamo rimasti 10 giorni in più apposta per ritentare, e tra l'altro ieri era bello. Eravamo solo noi 4 sulla montagna, eravamo acclimatati bene visto che eravamo già stati a ottomila metri. E questa finestra era da sfruttare. Non era ottima, ma tra il 13 e il 15 il vento doveva scendere a 50 chilometri all'ora e con la montagna in queste condizioni si poteva riuscire. Ripeto ecco, non voglio dire che è colpa di chi mi ha rubato la tenda se non sono andato in cima. Ma potevo provarci. Invece niente. Cosa devo fare? Domani arrivano gli yak e torniamo a casa..."

Il bello di Panzeri è che nonostante la rabbia e lo sconforto, tra un racconto e l'altro riesce ancora a sfoderare la sua risata contagiosa. In testa, però, oggi c'è un pensiero fisso.

"Questa storia è un mistero - conclude l'alpinista -. Non riusciamo a capire cosa sia successo né perchè. Sono andate via settimana scorsa due commerciali grosse, una cinese e una francese. Probabilmente i loro sherpa hanno smantellato anche la nostra tenda. Ma non posso dirlo con certezza perchè non sono più qui, non possiamo nemmeno andare a controllare. Certo nelle scorse settimane c'è stata parecchia confusione. Per esempio abbiamo saputo che degli svedesi hanno usato la nostra tenda a campo 2 senza nemmeno chiedere, era una tenda molto tecnica. Quella di campo 3, invece, l'abbiamo prestata volentieri a Lock per il suo tentativo di vetta. Non so, non so davvero cosa pensare".

L'unica è pensare al futuro. L'appuntamento è tra qualche mese, con altre avventure a ottomila metri.



Gnaro e Bernasconi: obbiettivo la Nord del GI. per Karl

"Alla Nord del Gasherbrum I dobbiamo tornare. E vorrei consegnare questa sera nelle mani di due compagni di Karl, due grandi alpinisti come Gnaro Mondinelli e Daniele Bernasconi, il compito, nel 2010, di portare il nome di Karl in cima al GI". L'annuncio di Agostino Da Polenza è stata una sorpresa per tutti. Ma a posteriori, forse c'è da dire che bisognava aspettarselo. Un sogno come l'inviolata parete nord del GI non poteva rimanere per molto in un cassetto. E di fatti ne è uscito, venerdì sera, forse nel modo più bello che si potesse immaginare.

La sala conferenze della fiera di Bergamo, gremita da oltre 400 persone, ha assistito rapita alla grande serata di alpinismo che ha avuto come ospiti Da Polenza, Bernasconi, Mondinelli, Adam Holzknecht e la moglie di Unterkircher, Silke. Si è emozionata di fronte al pluripremiato film "Karl" di Valeria Allievi e Sara Sottocornola . Ed è scoppiata in un'ovazione alle parole di Da Polenza che, dopo la proiezione, ha voluto annunciare la partenza della spedizione al GI nella primavera 2010.

"E' un sogno del 1983 quello di queste pareti, le Nord dei Gasherbrum - ha detto Da Polenza -. Tre anni fa abbiamo fatto la prima, promettendo di tornare per il GI. Non esserci stati l'anno scorso ci ha tolto la possbilità di godere ancora per tanti anni della compagnia di Karl. Però sul GI dobbiamo tornarci. E allora vorrei consegnare questa sera nelle mani di due suoi compagni, due grandi alpinisti, Gnaro Mondinelli e Daniele Bernasconi, il compito, nel 2010, di portare il nome di Karl in cima al GI".

Il Gasherbrum I è alto 8065 metri e sorge sul confine tra Cina e Pakistan. Dal versante sud non è generalmente considerata tra gli ottomila più difficili. Ma tutt'altra cosa è scalarlo da nord. Quella parete, che ha stregato trent'anni fa Diemberger e Da Polenza e tre anni fa Unterkircher e Bernasconi, è una delle ultime pareti inviolate di un 8000 e conta pochissimi tentativi. Anche perchè l'avvicinamento è lungo, complicato e in una valle deserta.

"Dal punto di vista esplorativo è una sfida ancora più interessante del GII - ha detto Daniele Bernasconi -. Perchè nessuno in tempi recenti è entrato così profondamente in quella valle. Non si sa nemmeno dove mettere il campo base, quindi l'avventura sarà davvero integrale. Una spedizione vecchio stile, come quando 50 anni fa Kurt Diemberger ed Hermann Bhul entravano nel Baltoro e avevano tutto da decidere. Nel mondo, ormai, solo quella valle a nord del Karakorum ha queste caratteristiche. Abbiamo studiato le possibili linee di salita su alcune foto. Puntiamo ad una cresta che si presenta bella e forse anche meno pericolosa del GII. Nei prossimi mesi vedremo di sistemare tutte le cose per la partenza".

Ci sono dieci mesi di tempo per costruire il progetto, definire la squadra, prepararsi tecnicamente e fisicamente. Ma l'obiettivo ormai è fissato. E accanto a Bernasconi, che nel 2007 ha firmato con Unterkircher la prima salita della Nord del GII, condividendo la salita con Michele Compagnoni, ci sarà uno dei più forti alpinisti italiani. Silvio "Gnaro" Mondinelli, che dopo 14 ottomila senza ossigeno e due spedizioni scientifiche al Colle Sud dell'Everest, dirigerà le sue inesauribili energie verso l'esplorazione.

"Ho visto questa montagna ed è bellissima - ha detto Mondinelli -. Daniele ha parlato di quella che forse è la cosa più interessante... chissà se troveremo un campo base. L'esperienza di arrivare al campo base con i cammelli, in una valle inesplorata disseminata di penitentes, è quasi quella che mi attira di più. Anche se poi non è vero, si va sempre per la cima. Credo che il gruppo sarà piccolo ma molto forte. Con Daniele ho avuto un'esperienza all'Annapurna e l'ho considerato, insieme a Karl, uno dei due alpinisti piu forti che ho incontrato in Himalaya, e non perchè uno non c'è più e l'altro è qui presente. L'ho sempre detto anche nelle mie serate".

"La prima esperienza che ho fatto in Perù è una via nuova sul Puscanturpa - ha detto ancora Mondinelli -. Andare dove altri non son passati è un'esperienza unica, più pericolosa ma anche più affascinante. Abbiamo tempo un anno per prepararci, soprattutto mentalmente. Poi vedremo cosa porteremo a casa. Male che vada, in questo periodo ho imparato a fare bene da mangiare... posso sempre fare il cuoco al campo base! Scherzi a parte, dico sempre che è più facile continuare che smettere. Sono stato due anni a Colle Sud per la stazione Share Everest e devo dire che vedendo passare quelli che andavano in cima mi veniva il magone. Sono contento di ripartire, ancor di più per un progetto come questo".

Da Polenza, dopo aver annunciato il progetto, ha poi chiesto ad Adam Holzknecht, presidente dei Catores e amico da una vita di Karl Unterkircher, di unirsi al progetto. Holzknecht aveva già fatto parte della spedizione K2 2004 all'Everest, organizzata dal Comitato EvK2Cnr.

"Sicuramente Karl vi guarderà da lassù e sarà in cordata con voi - ha detto Silke, compagna di Unterkircher e madre dei suoi tre figli -. Sarà una bella cosa, spero che riescano ad andare in cima, magari per dedicarla a Karl".



Junko Tabei: un’istituzione dell’alpinismo femminile

Junko Tabei è un’istituzione dell’alpinismo femminile. È stata la prima donna a raggiungere la vetta di un ottomila, quella del Manaslu nel 1974. La prima a salire in cima all’Everest nel 1975. Ancora la prima sullo Shisha Pangma nel 1981, e infine la prima ad aver scalato tutte le Seven Summit. Una donna da record.

Fukushima, Giappone, 23 maggio 1939: nasce Junko Tabei. Secondo le fonti la prima volta che va in montagna ha 10 anni ed è in occasione di una gita scolastica. La sua maestra ha il merito di portarla a scalare il Nasu, un monte di 1,917 metri, ed è lì che la montagna la segna per sempre.

Si laurea nel 1962 in letteratura inglese all’Università femminile di Showa, dove è membro del club di alpinismo. Da ora in avanti si dedica sempre più sistematicamente a scalare le montagne, al punto che nel 1969 forma il "Ladies Climbing Club: Japan (LCC)".Scala il monte Fuji, il Cervino, e tante altre vette. Poi mira all’Himalaya. Nel 1972 la Tabei in Giappone è ormai un’alpinista famosa.

Il 1974 è un anno importantissimo per lei. È il 5 maggio quando con le connazionali Miyeko Mori, Masako Uchida e Naoko Kuribayashi raggiunge la vetta del Manaslu. Sono le prime donne ad aver salito un Ottomila.L’anno dopo entra di nuovo nella storia. Il giornale Yomiuri e la Nihon Television mandano un team di sole donne in Nepal per sfidare l’Everest. Vengono selezionate 15 alpiniste tra centinaia di aspiranti, e tra loro c’è anche la Tabei. Dopo un lungo allenamento, cominciano la spedizione nei primi mesi del 1975, quando partono per Kathmandu. Insieme a 9 Sherpa arrivano al campo base nepalese dell’Everest, con l’intenzione di salire in cima lungo la via classica aperta da Sir Edmund Hillary e Tenzing Norgay nel 1953.All’inizio di maggio salgono di quota. Si trovano a quota 6.300 metri quando cade una valanga che le seppellisce tutte. La Tabei rimane priva di conoscenza per circa 6 minuti, il tempo necessario al suo Sherpa per scavare e tirarla fuori dalla neve. Si salva. Dodici giorni dopo è in vetta alla montagna. È il 16 maggio del 1975: dopo 39 successi maschili la prima donna della storia tocca il Tetto del Mondo

È il punto più alto della terra e della sua carriera. Anche se di successi la Tabei ne collezionerà ancora altri. Il 30 aprile del 1981, per esempio, è la prima donna a scalare lo Shisha Pangma, nel 1996 sale in cima al Cho Oyu. E poi nel 1992 conquista un altro primato al femminile, diventando la prima alpinista ad aver scalato le Seven Summit. L’ultima delle “sette sorelle” è l’Elbrus, dove arriva in vetta il 28 luglio. Sposata con due figli, ancora oggi la Tabei non ha lasciato il mondo dell’alta quota. All’età di 70 anni è la direttrice dell’Himalayan Adventure Trust of Japan, un’organizzazione che si occupa a livello mondiale della tutela dell’ambiente di montagna.Difficile da battere un curriculum così. Prime assolute al femminile che ne fanno inevitabilmente un grande modello per le donne dell’alpinismo mondiale.

Moro e gli altri tornano a casa


Non si possono vivere i propri sogni facendosi dettare le regole del gioco dagli altri. Un’avventura, una esplorazione, nascono dal profondo della propria anima, dalla parte libera ed irrazionale di noi stessi. La Cho Oyu Trilogy Expedition è stata la materializzazione di un sogno comune, una condivisione di forze e di energie, che hanno trovato in una montagna il punto ove realizzare ambizioni comuni e personali basati sul sentimento di amicizia, rispetto delle regole, accettazione dei rischi e delle responsabilità. Scalare una montagna di 8000 metri, aprire una via nuova, scendere con lo snowboard dalla cima, correre a piedi o in bicicletta fino al punto di partenza del progetto, comporta una programmazione ed il rispetto di tempistiche delicate e fondamentali che non devono e non possono trovare costrizioni che elevino i rischi, ne amplificano e ne snaturino il senso.
Questo è ciò che negli ultimi giorni è purtroppo accaduto in modo rocambolesco ed inesorabile alla nostro progetto, a causa dei provvedimenti restrittivi presi dal governo cinese che in modo improvviso, perentorio, e non negoziabile ha chiuso le frontiere col Tibet, impedendo a chiunque di entrare in quel territorio anche se muniti di visti d’ingresso e regolari permessi. E’ così iniziato il balletto sulle date e sulla durata di questa chiusura cinese ed oggi ci è giunta notizia che il giorno 10 Ottobre dovrebbe essere il primo giorno di potenziale ingresso in Tibet (tutti i giorni questa data ha subito variazioni e slittamenti). Il 25 di ottobre sarebbe l’ultimo giorno utile di permanenza sul Cho Oyu per la nostra spedizione a causa della data fissata per il volo di rientro e per impegni professionali e personali fissati da tempo. Ciò significa che dovremo accettare di realizzare una spedizione con tre differenti attività e programmi in soli 15 giorni compresi i tempi di trasferimento per e dal campo base. Una follia!! Un pessimo insegnamento da dare, un’accettazioni di rischi evidenti, una spesa elevata per un partita persa in partenza se considerata nel completamento di tutti e tre differenti progetti (scalata, snowboard e bike/run a Kathmandu). Allora diciamo NO!
Non ci stiamo a farci condizionare così anche nella realizzazione del nostro sogno. Sarebbe davvero una pessima dimostrazione di autostima farsi prendere per il naso e per i fondelli da chi vuole imporre le proprie regole, tempi e condizioni contravvenendo a quelle fino a ieri annunciate e da noi rispettate. Non ci sentiamo in vacanza a spese degli sponsor e neppure condizionati dagli eventuali commenti di stampa ed amici. Nessuno di noi vuole tentare la sorte e sperare di realizzare in tempi quasi impossibili ciò che per anni abbiamo preparato e sognato. Congeliamo il progetto Cho Oyu Trilogy Expedition, diciamo no grazie alle autorità cinesi, salviamo i soldi di chi ha creduto in noi nonostante la difficile congiuntura economica e, portando rispetto a ciò che la ragione e la morale ci impone, torniamo a casa tutti assieme senza escogitare progettini di ripiego e salva faccia individuali.Siamo ovviamente tristi sul lato sportivo ed esplorativo ma fieri di aver trovato in questa decisione un accordo comune e totale. Un bel team sin dall’inizio, un grande team anche in questa decisione. In 41 spedizioni non mi era mai capitato di farmi dettare le condizioni e prendere per il naso in questo modo e sono contento che anche questa volta il sottoscritto e chi è con me, non è caduto nel tranello della cieca, sorda, irrazionale ambizione. Ringrazio vivamente la The North Face per aver supportato tutto il nostro progetto e rispettato le decisioni, (anche quest’ultima) che abbiamo preso. Ringrazio tutto il team della Cho Oyu Trilogy Expedition per aver dimostrato unità ed amicizia in ogni secondo di questa avventura. La nostra esplorazione di gruppo subisce solo una posticipazione temporale, probabilmente l’autunno 2010, mantenendo integra l’anima ed il rispetto per le regole e della propria persona. Seppur un po’ triste e mortificante, questo pezzo di vita che porto a casa mi regala ed insegna anche qualcosa di prezioso e non negoziabile, proprio come l’improvvisa chiusura del Tibet….



Mario Merelli dedica la cima del Cho Oyu a Mireira e a Gnaro

news from LHASA, Tibet -- Non può essere più felice di così, Mario Merelli. E' al campo base da ieri, a festeggiare insieme alla fidanzata Mireia la cima del Cho Oyu salita con Marco Zaffaroni due giorni fa. E mentre aspetta la torta prevista dal menu per questa sera, telefona agli amici più cari per condividere con loro questa gioia immensa. Il primo è stato Silvio Mondinelli, al quale ha voluto dedicare la cima. "L'ho dedicata a lui e Mireia, un grande amico e un grande amore" ci ha detto Merelli poco fa.
"Lassù era stupendo - racconta Merelli - quando sono arrivato a vedere l'Everest e il Lhotse ho capito che ero in cima, è stato bellissimo. Ho pensato subito a Mireia, che mi aspettava al campo base, e al Silvio. La dedica mi è nata così, sul momento... lei è il mio grande amore, lui un grande amico. Ha salito tanti ottomila e avrà fatto tante dediche, ma chissà se qualcuno ne ha dedicato uno a lui. E allora per tutto quello che mi ha insegnato gliela dedico. Prima l'ho chiamato, mi diceva "brào, brào" e che ha già preparato il vestito per venire al matrimonio".
E Zaffaroni? Lui che qualche mese fa raccontava di "cinque spedizioni e quattro fallimenti e mezzo", che pensava di non essere fatto per l'Himalaya ma diceva di non sapervi rinunciare per tutte le indimenticabili sensazioni che si provano durante le scalate. Che cosa dice? "Zaffa in cima si è commosso - racconta Merelli con un sorriso -. Finalmente ce l'ha fatta, sapessi com'è contento. Faceva un gran freddo, però lassù. Quando siamo scesi Mireia s'è commossa... ma secondo me è l'aria fine che le fa scendere le lacrime!".
E' emozionato, Mario Merelli, ma non riesce a restare serio troppo a lungo. Scherza, ride, parla con l'amico "Zaffa" che dietro di lui fa casino e battute a non finire. Perchè le spedizioni sono anche questo. O forse sono soprattutto questo, questa gioia che fa dimenticare sofferenze e lunghe attese, e alla fine ti riempie di sensazioni così belle che non puoi rinunciare a tornare laggiù per riprovarle.
"E' un viaggio di nozze bellissimo - dice ancora Merelli -, pochi lo fanno così. Adesso poi sarà tutto in discesa. Andiamo un po' al caldo, il 4 ottobre saremo a Kathmandu e poi andremo nel Dolpo per l'inaugurazione del Kalika Community Hospital, un progetto che seguiamo da anni e per il quale in tanti ci hanno aiutato. Torneremo in italia intorno al 21 ottobre".
"Ho sentito della chiusura dei confini in Tibet - prosegue Merelli -. Ma il nostro ufficiale dice che possiamo uscire, basta che facciamo in fretta perchè prima è meglio è. Qui resta ancora tanta gente. Tanti che salgono con l'ossigeno, spedizioni commerciali ma anche qualche solitario con la sua guida. Nelle scorse settimane ho conosciuto Clifton Maloney, mi ha chiesto tante cose sugli 8000 e abbiamo fatto la foto insieme. Ci teneva tanto alla cima. L'ha raggiunta, ma non è tornato. Abbiamo visto che lo portavano giù quando siamo arrivati a campo due. questo fa ripensare a tanti amici scomparsi. Li portiamo nel cuore, ma dobbiamo soprattutto stare vicino e voler bene a chi c'è ancora".



il Tibet chiuide le frontiere e Simone Moro rimane bloccato all'Island Peak

news from CHHUKHUNG, Nepal -- Insistere verso il Cho Oyu, oppure cambiare programma e tentare qualcosa su una montagna nepalese? Questo il dilemma con cui stanno facendo i conti Simone Moro e il team della Trilogy expedition, che al momento si trovano ai piedi dell'Island Peak, in Nepal. Colpa dei cinesi, che all'improvviso hanno deciso di chiudere le frontiere fino all'8 ottobre, impedendo alla spedizione di raggiungere la montagna tibetana nei tempi previsti dal calendario.

"Le cose ovviamente non possono andare lisce almeno per una volta - scrive Moro sul blog della spedizione -. A anche stavolta è arrivata la sorpresina. I cinesi hanno chiuso le frontiere dal 24 settembre fino al giorno 8 ottobre. Nessuno, proprio nessuno ossia spedizioni e turisti possono entrare in Tibet per la ricorrenza del 60° anniversario della proclamazione della repubblica popolare Cinese".

Una decisione improvvisa e inaspettata, che blocca ai campi base tutte le spedizioni già entrate in Tibet, e fuori dal paese tutti coloro che dovevano ancora entrare. Questo ha messo in crisi i piani di Moro e dei suoi compagni Hervè Barmasse, Emilio Previtali, Lizzy Hawker e Tamara Lunger. Entrando in Tibet così tardi, il gruppo avrebbe soltanto 15 giorni per tentare la via nuova sul Cho Oyu, la discesa in snowboard e tutte le altre attività previste dal ricco programma della Trilogy Expedition.

Il team si trova al momento in Nepal, nella Khumbu Valley, per completare la fase di acclimatamento. Gli alpinisti stanno per tentare la salita dell'Island Peak, 6.189 metri, dopo la quale avrebbero dovuto trasferirsi direttamente in Tibet. Invece, qualcosa nei piani dovrà cambiare.

"Sono giorni che riflettiamo sul da farsi - spiega Moro -. Per ora proseguiamo con il programma di acclimatamento, tra domani e dopo prenderemo la decisione finale. Saremmo dell’idea di cancellare la spedizione al Cho Oyu e tentare una montagna qua in Nepal, magari vicino a dove già siamo, a Chhukung sotto la sud del Lhotse. Vorremmo però essere sicuri che i Cinesi non ci chiedano comunque i soldi del permesso del Cho Oyu perché in quel caso butteremmo al vento circa 40.000 dollari".

"D'altro canto, c'è la speranza che forse facciano un'eccezione per noi - conclude l'alpinista -. Sembra ci sia la possibilità che ci facciano entrare lo stesso, visto che avevamo richiesto il permesso prima che i cinesi decidessero di chiudere le frontiere. Vedremo".

In attesa di conoscere la loro decisione, CLIMBING ADDICTED vi ripropone i tre video pubblicati sul blog della Trilogy Expedition e prodotti quotidianamente da Armin Widmann e Hans Peter Karbon, che si trovano al seguito della spedizione di Moro e compagni.