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L'intervista è stata girata a Kathmandu, nei giardini dell'Annapurna Hotel, lo scorso 7 maggio. Merelli, con Marco Zaffaroni e Marco Rusconi, aveva concluso da pochi giorni il lungo trekking di rientro dal campo base e si accingeva a rientrare in Italia. Ha ancora il dolore dipinto in viso per l'amara conclusione, qualche giorno prima, della spedizione al Manaslu.
"E' difficile che la gente capisca finchè non prova a rinunciare a 80-100 metri dalla cima - racconta Merelli -. Sulle Alpi non è la stessa cosa. L'ossigeno c'è, il freddo è meno, insomma 100 metri sono un breve salto. Invece a 8000 metri sono un'ora e mezza, da fare stanchi e in condizioni difficili. Non ho mai rimpianto i 100 metri passati e non penso rimpiangerò questi. Ci sono dei segnali che ti arrivano quando sei lassù. Sono anni che vado in Himalaya, e ormai sono convinto che chi muore qui, non per incidenti e cause naturali ovviamente, è perchè non è stato capace di recepire questi segnali".Merelli parla poi del tentativo di fine aprile, del duro lavoro per attrezzare la fascia ghiacciata sopra il campo 3, del dietrofront a pochi metri dalla cima e della difficile discesa. In conclusione, si lascia andare ad un commosso ricordo di Giuseppe Antonelli, compagno di spedizione deceduto improvvisamente a campo 2 per una probabile trombosi. Merelli, Zaffaroni e Rusconi hanno appreso della sua morte durante la discesa e dopodichè hanno deciso di rientrare in Italia.
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