news from ISLAMABAD, Pakistan -- E' già tutto pronto, sul K2, per il tentativo di vetta. Lo fa sapere Gerlinde Kaltenbrunner, appena rientrata al base dopo una salita di acclimatamento con bivacco a 7.100 metri. L'alpinista austriaca, che insegue il suo 13esimo ottomila, ha in programma di tentare la cima non appena si verificherà una finestra di bel tempo.
"David e io abbiamo completato l'acclimatamento - racconta la Kaltenbrunner -. La salita è stata dura, con la neve che arrivava al ginocchio, a volte fino alla coscia, e un vento forte e gelido. Ma dal campo 3, la mattina presto, abbiamo potuto vedere la vetta del K2, anche se brevemente. Quasi subito è stata coperta dalle nubi".
La Kaltenbrunner e il suo compagno David Gottlieb sono saliti a campo 2 battendo traccia insieme agli americani di Fabrizio Zangrilli. Dopo un pernottamento sono saliti a campo 3 e il giorno successivo al bivacco posto a 7.100 metri.
"Abbiamo bivaccato in un vero nido d'aquila - racconta l'alpinista -. Abbiamo teso delle corde perchè la tenda non si muovesse e per assicurarci quando andavamo in bagno, il vento era molto forte. La mattina dopo il vento si è calmato, e abbiamo pensato di salire ancora un po' e passare un'altra notte al bivacco. Dopo pranzo, però, ha iniziato a nevischiare e abbiamo deciso di scendere perchè temevamo le valanghe".
I due alpinisti hanno lasciato l'attrezzatura per la salita a campo 2 e poi sono tornati al base dove ora è arrivato anche Ralf Dujmovits con Franz Fuchs e Andreas Gradl, della tv tedesca, che gireranno uno speciale sulla salita della Kaltenbrunner. L'alpinista ora attende solo il "semaforo verde" dei meteorologi: alla prima di finestra di bel tempo tenterà la vetta. Ma pare che fino alla prossima settimana, le previsioni non siano molto buone.
Pubblicato da
Carlitos
venerdì 17 luglio 2009
alle
05:23
L' Appennino piemontese. Percorsi, paesaggi, natura e storia del tratto piemontese di Appennino
Gli itinerari proposti in questo libro, si sviluppano sul versante piemontese dell'Appennino ligure e raggiungono le cime principali poste sul confine tra Piemonte e Liguria. 56 escursioni, 50 montagne, circa 600 chilometri a piedi tra le valli Curone, Grue, Borbera, Spinti, Scrivia, Lemme, Gorzente, Piota, Orba, Erro e Bormida di Spigno. Undici vallate appenniniche capaci di regalare grandi emozioni a chi va alla ricerca di paesaggi indimenticabili, ignorati dal turismo di massa, abbandonati a cavallo tra mare e pianura, con la cerchia delle Alpi a fare da sfondo. I percorsi proposti hanno un'impostazione classica, quasi alpinistica, a dispetto della quota modesta e delle difficoltà meramente escursionistiche: si parte da un paese di fondovalle, si arriva in punta a una montagna. Infatti, non è solo la quota a fare una montagna. Conta molto anche l'aspetto e questa porzione di Appennino lo dimostra pienamente. Il lungo e verdeggiante crinale che divide le valli Curone e Borbera, non supera i 1700 metri, eppure, dalla piana alessandrina, nelle giornate limpide, appare a est come una catena lunghissima, imbiancata fino a primavera. Sono i percorsi migliori che l'autore (appassionato di alpinismo e sci-alpinismo) ha seguito e amato, passo dopo passo. Per rappresentare i sentieri è stata utilizzata come cartografia di base la Carta Tecnica Regionale della Regione Piemonte. Mentre tutte le foto a colori dei luoghi sono dell'autore.
Prezzo: € 18.00
la presentazione, domani sera, giovedì 16 luglio alle ore 21.00 presso il museo "C'era una volta" p.zza della Gambarina, 1 Alessandria.
GRANDE ROCCO!!!
Pubblicato da
Carlitos
mercoledì 15 luglio 2009
alle
14:20
La Tour Eiffel ha bisogno di una riverniciata, nel suo 120simo anno, e l’appalto per il restyling è stato vinto da un’impresa greca. Per dipingere i 324 metri della torre simbolo di Parigi e della Francia, l’impresa si avvarrà del lavoro di 25 imbianchini, che sono anche alpinisti provetti. Gli operai greci utilizzeranno quindi soltanto funi e reti di sicurezza, evitando impalcature e ponteggi, così da risparmiare tempo e denaro. La riverniciatura della Tour Eiffel, da parte della società greca specializzata in protezione anticorrosiva di strutture industriali, utilizzerà 60 tonnellate di vernice, 50 km di funi e 50.000 metri quadrati di reti di sicurezza, ed è stata stimata in 6 milioni di euro.
news from LIMA, Perù -- Una variante della via Casarotto, sulla parete nord del Huascaran Norte, 6.655 metri. Questa l'impresa che avrebbe compiuto, nei giorni scorsi, la cordata peruviano-americana di Christian Stoll Dávila e Mark Smiley: due aspiranti guide alpine che, in 6 giorni, sono riuscite a salire la temibile parete nord del celebre seimila sudamericano dove qualche anno fa persero la vita Battistino Bonali e Giandomenico Ducoli.
Pendii fino a 80 gradi, scalata di misto fino al 6a, e strapiombi che che dopo un terzo della parete non danno possibilità di ritirata. La parete nord del Huascaran, è una delle più difficili e pericolose del mondo.
In questa stagione, poi, è particolarmente soggetta a valanghe.Secondo quanto riferito da Barnabes.com, i due alpinisti sono saliti in vetta al Huascaran nella prima settimana di giugno e, una volta terminata l'impresa, hanno raccontato la loro salita che sarebbe avvenuta lungo una linea nuova nella prima parte della parete, sotto i seimila metri. Anche se i disegni finora mostrati dai due alpinisti non sono molto chiari e fanno sorgere qualche dubbio, loro dichiarano di aver aperto "probabilmente" una variante della via Casarotto, che poi la cordata avrebbe seguito fino in vetta. L'itinerario da loro indicato, però, sembra molto più spostato verso il crinale est, rispetto al percorso originale seguito dall'alpinista italiano.L'avventura, comunque, è stata tutt'altro che facile.
La cordata è stata in parete sei giorni, uno dei quali ferma per un malore di Smiley, che non si è sentito bene per la quota. Poi ha proseguito la salita, superando le numerose difficoltà dell'itinerario e affrontando le pessime condizioni dei pendii sommitali e il maltempo, che sotto la cima li ha costretti ad uno stop di sei ore su una cengia larga meno un metro. La cima è arrivata alle 19 del 7 giugno e la discesa è avvenuta durante la notte lungo la via normale.Il Huascaran Norte, 6.655 metri, è una delle montagne più celebri della Cordillera Blanca. Renato Casarotto salì la sua parete nord nel 1977, a 29 anni, in solitaria: partì con 40 chilogrammi di materiale sulle spalle e rimase in parete per 17 giorni, ma alla fine arrivò in vetta.
La sua linea, che si sviluppa vicino al crinale orientale della montagna, è ancor oggi nota come "via Casarotto" ed è considerata una prova durissima per ogni alpinista: su quell'itinerario morirono, nel 1993, gli alpinisti bresciani Battistino Bonali e Giandomenico Ducoli, che stavano tentando la prima ripetizione della via.Quando Casarotto aprì la via aveva 29 anni ed era nel periodo clou della sue attività sulle Ande. Solo ue anni prima aveva aperto, con Agostino Da Polenza, una via nuova sulla vertiginosa parete sud del Nevado Huandoy, 6164 metri, che sorge proprio di fronte al Huascaran. E due anni dopo aprì una difficile via su roccia sul Fitz Roy, in Patagonia.
Pubblicato da
Carlitos
sabato 11 luglio 2009
alle
02:35
La storia dell'alpinismo femminile comincia il 14 luglio del 1808. Marie Paradis sale in vetta al Monte Bianco, ed è la prima donna al mondo. Da allora ad oggi tante altre alpiniste hanno dimostrato il proprio valore sulle cime più belle della terra. Molte di loro però hanno dovuto affrontare due sfide: quella con la montagna e quella contro il pregiudizio generale, che spesso vuole la donna fuori da questo ambiente, da sempre appannaggio degli uomini. Inizia oggi lo speciale di Montagna.tv che vi porterà ad incontrare queste protagoniste, a cominciare da Gerlinde Kaltenbrunner.
Lotta. Contro la fatica, contro l'altitudine, contro le intemperie. Lotta contro chi le avrebbe volute a casa, chi pensava che non ce l'avrebbero mai fatta. E non perchè non erano brave ma perchè non lo sarebbero state mai abbastanza. Semplicemente perchè erano donne. Per secoli il gentil sesso ha subito una discriminazione intellettuale: le donne "non capiscono - si leggeva spesso nelle opinioni degli uomini del passato (per la verità non sempre lontano) - lasciamole leggere di uncinetti e vite dei santi". Ma non solo
L'aspetto più esile e fragile rispetto a quello degli uomini ha fatto sì che il mondo dello sport in generale fosse lontano dalla sfera delle loro possibilità, come qualcosa in continuo movimento, sempre da rincorrere. O almeno è stato così fino ai tempi recenti, al XX secolo. Tutto questo più che mai in un'attività estrema, dura e pesante come quella dell'alta quota. E lo dimostra l’esiguo numero delle donne alpiniste la cui notorietà si estende oltre i confini del pubblico strettamente specialistico.
Marie Paradis, francese di Chamonix, ha gettato il primo mattone per conto di tutto il genere nella costruzione della rispettabilità dell'alpinismo femminile. Era il 14 luglio del 1808, quando scalò la cima del Monte Bianco. Aveva 30 anni.
Lucy Walker, sorella del celebre Horace, autore della prima ascesa delle Grandes Jorasses del 30 giugno 1868 a cui fu dato il nome di Punta Walker, è rimasta famosa nella storia per essere stata la prima donna a scalare il Cervino nel 1871. Salì in vetta lungo la cresta Hörnli. Fu solo una, la più celebre, delle 98 scalate della sua vita. Dal 1913 al 1915 fu a capo del nuovo "Ladies’ Alpine Club".
Annie Smith Peck fu poi forse la prima donna alpinista ad andare in spedizione sostenuta da un grande sponsor. Conosciuta come scalatrice dopo la sua salita al Cervino del 1895, si volse poi alle cime dell'America Latina. Qui, a 47 anni, realizzò un record del suo genere, toccando la vetta del Popocatepetl e del Pico de Orizaba, sponsorizzata dal The New York World, il giornale di cui fu poi direttore Joseph Pulitzer.
La Peck compì poi la prima ascensione assoluta della cima nord dello Huascarán, alta 6768 metri, accompagnata da due guide svizzere. In suo onore nel 1928 la vetta fu chiamata Cumbre Aña Peck.
Tantissime le altre prime ascensioni femminili che andrebbero ricordate. Da quella della giapponese Junko Tabei, che il 16 maggio 1975 a 35 anni, diventa la prima donna in vetta all'Everset. Va in cima con l'ossigeno con una spedizione di sole donne nipponiche, 3 anni prima della memorabile salita di Messner e Habeler, la prima senza ossigeno.
Le donne nel mondo dell'alpinismo si sono inserite progressivamente, ma inesorabilmente. Alcune attratte dal fascino delle parete verticali, dell'arrampicata, su roccia ma anche sul più ostile ghiaccio. Altre dall'altissima quota, non solo sulle difficili montagne delle Alpi ma anche in Himalaya e Karakorum.
Un dei più grandi traguardi che resta loro da raggiungere è la conquista di tutte le 14 cime più alte della terra. Ma proprio negli ultimi anni alcune protagoniste femminili dell’alpinismo mondiale stanno puntando a questo obiettivo. E il resto del mondo resta a guardarle col fiato sospeso.
Perchè è indubbio che questa corsa rosa agli ottomila affascina, incuriosisce e desta l’attenzione di tutti gli amanti dell’alta quota, senza distinzione di genere. Anzi, ora che la meta si fa più vicina sempre più frequenti diventano i discorsi da “toto scommesse” su chi sarà incoronata la prima “regina degli ottomila”.
Oggi insomma, l’alpinismo non è più prerogativa maschile. Ma quanto è accessibile realmente questo mondo alle donne? C’è ancora discriminazione? Come vivono la concorrenza fra di loro e con gli uomini?
Abbiamo deciso di chiederlo direttamente a loro. In questo nuovo speciale di Montagna.tv, “Il lato D dell’alpinismo”, vi porteremo a conoscere le protagoniste femminili delle montagne. Da Nives Meroi, l’alpinista tarvisiana che finora vanta in curriculum 11 ottomila, alla spagnola Edurne Pasaban, che è seguita a tal punto dal pubblico che nel suo paese le hanno dedicato un intero programma televisivo - El filo de lo imposible - per riprenderla nella sua corsa agli ottomila. E a Gerlinde Kaltenbrunner, che come le prime due, con i suoi 12 ottomila, minaccia di conquistare il titolo di regina. Proprio con la sua videointervista iniziamo il nostro excursus.
E poi ci saranno ancora Ines Papert, ghiacciatrice tedesca fortissima e polivalente e Luisa Iovane, una delle prime donne al mondo – di sicuro in Italia – a fare irruzione nel mondo dell’arrampicata su roccia, inseparabile amica di Manolo e Mariacher.
Solo per darvi un’idea.
Pubblicato da
Carlitos
giovedì 9 luglio 2009
alle
11:29
Sapreste valutare la capacità del vostro sistema polmonare e cardiovascolare di reagire alla quota? Sapevate che le popolazioni andine sono molto meno adattate alla quota delle tibetane perchè sono meticce? Che uno sforzo fisico intenso provoca la liberazione di molti radicali liberi che vanno reintegrati con frutta e verdura? E che gli studi sugli alpinisti possono aiutare la ricerca contro il cancro e l'invecchiamento? A queste e a molte altre domande ha risposto il professor Paolo Cerretelli, luminare internazionale di fisiologia d'alta quota, docente all'università di Milano e presidente onorario del Comitato EvK2Cnr.
Cerretelli, lo scorso 29 aprile, ha tenuto al Palamonti di Bergamo una conferenza in cui ha parlato degli "Aspetti fisiologici degli alpinisti di élite", illustrando gli studi da lui svolti in oltre cinquant’anni di carriera scientifica e nel corso di alcune importanti spedizioni extra-europee in Himalaya (tra le altre, Kan Jutzar, 1959 ed Everest, 1973, entrambe organizzate da Guido Monzino). L'evento, organizzato dalla Commissione Medica del Cai di Bergamo, ha riscosso molto successo perchè è risultato chiaro, stimolante e ricco di spunti utili e facili da comprendere per tutti coloro che frequentano la montagna.
Partendo dai vari cambiamenti che si verificano nell’organismo degli alpinisti in alta quota, gli studi di Cerretelli sono arrivati a spiegare molti processi connessi all'acclimatamento. Per esempio l'ipossia acuta e l'ipossia cronica, cioè brevi e lunghi periodi di permanenza in alta quota dove l’ossigeno è carente. Oppure l’incremento dei globuli rossi, le variazioni della frequenza cardiaca che è ridotta in alta quota, e la frequenza degli atti respiratori in seguito all’impatto con la rarefazione dell’ossigeno.
Un parametro da conoscere, a questo proposito, è la "VO2 Massimale", ovvero il massimo consumo di ossigeno di ognuno di noi misurato in relazione alla ventilazione. Si tratta di una caratteristica individuale di ogni soggetto, una variabile di tipo etnico, che varia a seconda dell’esposizione all’alta quota. Può essere migliorata dall’allenamento ma viene bruscamente abbassata con l’esposizione all’altitudine, a causa dell’ipossia, penalizzando la prestazione fisica. I dati sono impressionanti: a 5.500 metri, si abbassa del 35 per cento mentre all'altezza dell'Everest, 8.850 metri, si riduce fino all'85-90 per cento.
Dal punto di vista fisiologico è interessante sapere che, stando lunghi periodi in quota, i muscoli degli alpinisti vanno incontro a gravi alterazioni strutturali ed ultrastrutturali. Un fenomeno che ricorda, come ha segnalato Cerretelli, i fenomeni regressivi tipici dell’invecchiamento dell’uomo. L'unica differenza è che nell’alpinista tali fenomeni regressivi sono reversibili, mentre nell’ anziano no.
Qualche numero? Si verifica, in quota, una perdita di massa muscolare del 12 per cento circa, con una conseguente riduzione della densità dei mitocondri (-25 per cento), con accumulo di pigmenti tra i quali la lipofuscina, sostanza prodotta dallo stress ossidativo. E' interessante rilevare che tra gli Sherpa, rispetto ai soggetti caucasici, i fenomeni degenerativi del muscolo sembrano essere più contenuti.
Gli studi effettuati in quota, ha sottolinato Cerretelli, sono molto costosi. Ma hanno un riconosciuto valore, in quanto molto utili nel campo dell’invecchiamento e dell’oncologia, avendo il tessuto neoplastico un metabolismo di tipo anaerobico. Cerretelli ha anche spiegato che l’attività fisica intensa produce moltissimi radicali liberi che danneggiano l’organismo. Quindi, è meglio moderare l'attività fisica, introducendo degli antiossidanti, contenuti soprattutto nella frutta e nella verdura.
Le popolazioni che vivono in quota comprendono oltre quindici milioni di individui nel mondo. Ma tra loro vi sono molte differenze. Le genti del Tibet, per esempio, risultano essere le più adatte a stare in quota, probabilmente per il fatto di vivere ad alte quote da lunghissimo tempo e per condizioni fisiche predisposte (adattamenti positivi dell’ eritropoiesi, un più elevato picco della frequenza cardiaca ed una più elevata saturazione da parte dell’ossigeno). Le popolazioni andine, al contrario, si trovano in una situazione meno favorevole, essendo meticce. Pertanto, hanno problemi maggiori derivanti da un aumento del numero dei globuli rossi e da altre patologie associate alla loro condizione.
Cerretelli ha spiegato anche come sono stati effettuati gli studi sulla fisiologia del muscolo: tramite delle biopsie che hanno permesso di studiare dal punto di vista biomolecolare la struttura e la fisiopatologia del tessuto in alta quota. Da non molto tempo si stanno studiando le caratteristiche del proteoma, ovvero il profilo differenziale delle principali proteine contrattili e di regolazione presenti nel muscolo in relazione all’esposizione all’ altitudine, in grado di fornire nuove ed interessanti conoscenze scientifiche nel campo della fisiologia dell’ipossia. In particolare, i Tibetani risultano più avvantaggiati anche da questo punto di vista rispetto ai Caucasici.
Pubblicato da
Carlitos
lunedì 22 giugno 2009
alle
02:32
Nato nel 1981 nel Maine, uno degli stati più piatti degli U.S.A, Dave Graham, ha cominciato ad arrampicare nel ‘97 con un suo compagno della squadra di sci. “Lui scalava già, e mi ha chiesto di andare con lui al muro della nostra città. Per due settimane ci sono tornato tutti i giorni. Ho capito immediatamente che arrampicare mi piaceva un sacco. Poi i miei amici hanno cominciato a dirmi che ero bravo. Dopo due mesi ho fatto il mio primo 5.12a, dopo cinque mesi sono arrivato al 5.13a e dopo un anno sono arrivato al 5.14a, allora anch’io ho cominciato a pensare che ero abbastanza forte”.
In quattro anni Dave è diventato uno degli arrampicatori più forti degli States. E conta al suo attivo 26 vie dall’8b+ al 9a. Tra queste alcune vie famose come “Hasta La Vista” 8c\8c+, “To Bolt Or Not To Be” 8b+, “Facile” 8b+ e “The Fly” 9a. Dave forse è il prototipo del nuovo modello di arrampicatore: uscito da una palestra sintetica, superdotato, ipermotivato e già capace di passare dove la nuova generazione ha trovato il suo limite.
“Quando ho cominciato facevo solo boulder, perché non sapevo usare la corda e perché i blocchi sono la cosa piu vicina a casa, a due ore di viaggio. Poi ho imparato a usare i nuts e i friends, così ho cominciato a fare un po’ di ‘traditional climbing’. Solo dopo sono passato alle vie sportive. Ma la mia attività preferita continua a essere il bouldering, solo lì riesco ad esprimermi al massimo. Infatti boulder o vie corte e ‘boulderose’, queste sono le cose più dure che ho fatto dalle mie parti.”
“Negli U.S.A. le cose funzionano come qui in Europa, la nostra federazione non è molto attiva, il nostro stato non fa nulla a favore degli arrampicatori. L’arrampicata per noi (giovani, N.d.R.) è considerata come una attività ricreativa alla stregua dello skate-board o dei videogiochi. Quando devo spiegare ai miei professori che ho bisogno di due settimane di break per andare a scalare mi fanno un sacco di problemi, se dovessi andare a giocare a baseball, invece, non ce ne sarebbero.“Riesco a vivere con i soldi che mi danno i miei sponsor (5-10, Prana, Pusher, Cordless, Sterling, Metolius), ma questo perché non mi concedo nessuna spesa extra, ci sto dentro al pelo. Quindi adesso che ho finito il Liceo penso che m’iscriverò all’Università. Mi piacerebbe fare qualcosa come architettura o design. In ogni caso voglio un lavoro che mi consenta di continuare a scalare, e anche una facoltà universitaria che me lo consenta. Ma all’università l’arrampicata non dà punti, (negli States gli studenti guadagnano dei voti se praticano uno sport, N.d.R.) quindi per guadagnare un po’ di punti dovrò mettermi a giocare a baseball.
“È difficile stabilire chi è un professionista e chi no. Conosco dei non professionisti che scalano tanto quanto dei professionisti, o magari di più. Poi c’è in giro un sacco di gente che si dà delle grandi arie e che, perché viaggia su gradi dove gira poca gente, si sente legittimata a dare dei gradi assurdi. Io prima di affermare che una delle mie vie è 8c devo sudarmela veramente.
qui sotto il video in esclusiva per CLIMBING ADDICTED dei sassi The Buttemilker & Spectre
al Buttemilks CA
Pubblicato da
Carlitos
sabato 20 giugno 2009
alle
01:01
news from ZURIGO, Svizzera -- Un rifugio luccicante, ultramoderno e sopratutto ecosostenibile. Ecco cosa sarà la nuova Capanna Monte Rosa, che il Club Alpino Svizzero sta costruendo sul versante elvetico della montagna, a 2.883 metri di quota, su una terrazza panoramica affacciata verso il Cervino. Il progetto del rifugio, che avrà la forma di un cristallo, è stato elaborato da studenti e professori del Politecnico di Zurigo.
L'idea di rinnovare questa capanna è nata nel 2003, in occasione del 150esimo anniversario del Politecnico, da due docenti: Andrea Deplazes e Meinrad K. Eberle, che poi l'hanno portata avanti coinvolgendo gli studenti. Oggi il rifugio, che sorgerà incastonato tra i ghiacciai di Gorner, Grenz e Monte Rosa, è in fase avanzata di costruzione.
Il rifugio avrà un aspetto del tutto futuristico. All'esterno sarà ricoperto di pannelli metallici che regaleranno riflessi come di cristallo. All'interno il rifugio sarà di legno, con un interessante mix architettonico di tradizione e modernità.
Ma la più grande innovazione riguarda l'energia: il 90 per cento del fabbisogno energetico è soddisfatto con l'energia solare e, per come è stato studiato, il nuovo rifugio produrrà solo un terzo delle emissioni rispetto al passato. E anche durante la costruzione, si è cercato di compiere le scelte maggiormente compatibili con l'ambiente.
Pubblicato da
Carlitos
venerdì 19 giugno 2009
alle
02:13
news from GRINDELWALD, Svizzera -- Diciamoci la verità, i dubbi erano pochi. Dopo la prima invernale al Makalu, Simone Moro e Denis Urubko si sono presentati all'Eiger Award dopo un'impresa che, anche considerata singolarmente, ha poche rivali. E infatti hanno stravinto, conquistando la maggior parte dei voti del pubblico che ha eletto i vincitori tramite un sondaggio online. Il prestigioso premio, che vuole essere un riconoscimento alla carriera e al merito alpinistico, è stato consegnato all'alpinista bergamasco da Chris Bonnington sabato sera.
"Ho appreso la notizia con vera e sincera gratitudine - ha detto Moro -, perché finalmente vedo usare un metro di valutazione diverso e molto profondo: non è solo un premio ad una grande impresa ma a un'intera carriera, a un modo di fare alpinismo. E poi è anche un premio all'amicizia, al mio rapporto con Denis Urubko. E idealmente va anche ad Anatolii Boukreev, grazie a cui ho conosciuto Denis".Dopo aver ritirato il premio dalle mani di Bonnignton, icona vivente dell'alpinismo esplorativo in alta quota, Moro ha ringraziato pubblico, organizzazione e votanti, con un emozionante discorso in cui ha raccontato i rischi e le difficoltà dell'alpinismo esplorativo e le esperienze d'alta quota vissute con Urubko, che purtroppo non ha potuto presenziare alla serata. "Da ormai dieci anni questi due alpinisti sono impegnati nell'attività alpinistica come le due estremità di una stessa corda in grado di unire altrettanti continenti - si legge tra le motivazioni del premio -. La prima invernale del Makalu è una pietra miliare nella storia d’alpinismo. È una delle ragioni per cui avete meritato pienamente l’Eiger Award 2009. Ma c’è un’altra ragione, molto più profonda e che ci ricorda i veri valori dell’andare in montagna e dell’essere umani: l’importanza dell’amicizia".Gli altri concorrenti in lizza per il premio erano il tedesco Kurt Albert e lo svizzero Daniel Anker. Il primo vanta numerose prime ascensioni sulle grandi pareti del mondo, ed è tra gli autori di "Royal Flush", sulla parete est del Fitz Roy. Il secondo è il detentore del maggior numero di vie aperte sulla parete nord dell'Eiger. Durante la serata di sabato a Grindelwald, è stato assegnato anche uno Special Eiger Award dedicato alla cultura al fotografo di montagna Robi Bösch. L'Eiger Award , alla sua seconda edizione, viene assegnato direttamente dal pubblico attraverso una votazione online. La prima edizione è stata vinta a Ueli Steck il 30 maggio dell'anno scorso e ha avuto luogo all'interno delle celebrazioni per l'anniversario dell'Eiger. I criteri secondo i quali viene premiato il vincitore corrispondono al "fascino delle sfide mentali e fisiche delle imprese alpinistiche", "all'alto valore dell'esperienza e dell'avventura in montagna" e "al valore delle montagne e dell'alpinismo come fonte di relax, creatività e ispirazione".
Pubblicato da
Carlitos
giovedì 18 giugno 2009
alle
06:12
Raccontaci un po' di te, quanti anni hai, se studi o lavori, quali sono i tuoi hobbies. Ho 23 anni, mi sono laureata all' Accademia di belle arti tra un lavoretto e l' altro, e ora continuo a studiare per prendere l' abilitazione nelle materie artistiche. La mia più grande passione in assoluto è la scalata! Poi mi piaceva fotografia, il cinema e il teatro...e tanto altro.
Come hai iniziato e quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a praticare questa attività sportiva?
Ho iniziato con Davide (Zac) che mi portava spesso a vedere quegli strani omini sui muri dei giardini Govi! Da lì ho voluto provare anche io, e anche se in fondo non mi rendevo conto di cosa fosse questo sport mi piaceva cercare di capire i miei movimenti e tentare di riuscire a fare passaggi sempre più difficili. Nello stesso tempo sentivo che anche nella vita mi aiutava a essere più determinata. Il corso con Gianni è stato l'ulteriore conferma che questo"doveva" essere il mio sport! Vederlo scalare è stato così emozionante che ancora oggi lo considero come un maestro.
Ritieni sia importante l'allenamento in palestra?
L'allenamento in palestra è basilare sia per chi ambisce all'alto livello che per il principiante, perchè insegna a muoversi e stimola la fibra! Sicuramente scalare su roccia dovrebbe essere la prima cosa in assoluto , ma quando come nel mio caso i trucchetti tecnici non bastano più e il braccino non chiude abbastanza, l'unica soluzione è allenarsi! Cosa pensi dell'arrampicata in Liguria e cosa pensi di Finale e Albenga?
Finale per me resta sempre Finale perchè è pervasa dalla magia dei primi arrampicatori liguri e dalle mani di Berhault e altri personaggi epici che hanno toccato quell'ostile calcare bianco che sembra volerti respingere! Albenga è molto bella e ha permesso di scalare con uno stile molto diverso, e vista la raritàdi strapiombi in liguria, Castelbianco è un bel settore, per lo meno fino a un certo livello. I gradi forse a volte sono un pò severi, e penso che chi chioda oggi dovrebbe considerare che , proprio perchè lo sport è in crescita, non ha molto senso sottogradare le vie. Il grado dovrebbe essere più o meno condiviso e "reale", altrimenti invece di migliorare (visto che i gradi vengono abbassati spesso) si torna indietro! Non c'è tanto lo stimolo a provare di più e aumentano i miti di vie durissime che nessuno osa nemmeno col pensierodi poter fare .
Sappiamo che sei appena tornata da Kalymnos; spiegaci come mai questo posto meraviglioso ha la nomea di avere delle vie bellissime con difficoltà molto basse...... oppure sono solo fantasie degli arrampicatori?
Kalymnos è così stupenda che parlare di gradi è u n delitto! detesto sentire continuamente che lì le vie te le porti vie facilmente. Io so di sicuro che sono stupende e che essendo attrezzate da chiodatori di tutto il mondo ci sono quelle più facili, ma è anche vero che molti tiri sono stati scalati da Sharma, Graham, Millet e company: se non li hanno sgradati loro perché dovrei farlo io!! C'è da dire che, essendo presenti vie di super continuità ben chiodate e intuibili a vista, diventi facile sgradare. Comunque la nuova guida ha già sgradato molti tiri!
La via che ti ha emozionato di più? E quella che al momento è dentro ad un cassetto?
Crazy mix, il mio primo 8a, perché non avrei mai pensato di far e questo grado e perché l'ho provata senza nessuna presunzione di poterla fare, ma inaspettatamente mi è riuscita. Nel cassetto non c'è una via, al momento rifletto sui miei punti deboli e con la scusa del maltempo prendo tempo! Vorrei fare una bella via strapiombante!
Cosa ti aspetti dal futuro?
Non mi aspetto niente, più che altro sogno e spero di avere sempre la salute fisica per poter pro gradire. La motivazione è alta e continuerò ad impegnar mi per provare emozioni sempre più forti!
Pubblicato da
Carlitos
mercoledì 17 giugno 2009
alle
04:23