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Apa Sherpa sale il Sagarmatha per la 19° volta per raccogliere la spazzatura

KATHMANDU, Nepal -- Apa Sherpa, l'uomo che detiene il record di salite all'Everest, dedicherà la sua prossima scalata sulla sacra vetta nepalese alla pulizia della montagna. Dal 1953 ad oggi gli alpinisti passati di qua hanno lasciato troppa sporciazia: è tempo di rimediare ai danni.
Apa Sherpa, 49enne guida alpina delle alte vette himalayane, ha scalato l'Everest 18 volte. Un vero record che però il nepalese ha intenzione di superare. La 19esima scalata è infatti già in programma, e sarà dedicata interamente alla salute della montagna più alta del mondo.

Sherpa infatti ha intenzione di partecipare alla "missione di pulizia" Eco Everest Expedition, durante la quale provvederà a raccogliere e portar via l'immondizia accumulata negli anni dagli alpinisti lungo la salita al monte.

Ma la spedizione non servirà solo a rimuovere lo sporco, perchè Sherpa lascerà sulla montagna un vaso contenente un'offerta sacra rivolta alla Dea Madre, l'Everest appunto.

Secondo il Wwf il gesto ha lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione dei cambiamenti climatici in Himalaya e di riportare un atteggiamento più rispettoso verso questa montagna, che per le popolazioni locali è un simbolo sacro.

Apa porterà anche una bandiera con la scirtta "Stop Climate Change; Let the Himalayas Live!" - Stop ai cambiamenti climatici: lasciate vivere Himalaya!. Il problema dei cambiamenti climatici nella regione è infatti molto forte. I ghiacciai himalayani si stanno restringendo a causa della diminuzione delle piogge, e tale riduzione comporta anche una minore disponibilità delle risorse idriche per uomini, animali e piante delle valli sottostanti.

"Sarà dura, ma spero di farcela - ha dichiarato Apa Sherpa -. Se riuscirò a portare in vetta all'Everest questo vaso ne sarò felice, perchè sarà in nome della pace e del clima".



acc male boulder finals


ricordando Patrick Berhault

Patrick Berhault (19 luglio 195728 aprile 2004) è stato un alpinista francese.
Soprannominato Berobocop, fu grande fuoriclasse sia del free-climbing che dell'alpinismo classico. Prese parte attivamente al rinnovamento dell'arrampicata avvenuto durante gli
anni 1970 (assieme ad altri grandi climbers come Patrick Edlinger, Philippe Martinez o Jean Marc Boivin). In seguito si dedicò anche all'alpinismo d'alta quota. È stato istruttore presso l'ENSA (École nationale de ski et d'alpinisme), all'interno della quale era conosciuto per la sua grande dedizione verso l'etica della montagna (rispetto della natura, pratica senza l'utilizzo di ausili meccanici). Nel settembre del 1991, realizzò una traversata completa del Monte Bianco, mediante il concatenamento di una serie di itinerari molto impegnativi. In particolar modo però, le imprese che lo hanno reso celebre al grande pubblico furono due:
la grande attraversata delle
Alpi, compiuta tra l'agosto del 2000 ed il febbraio 2001, durante la quale, con i compagni Patrick Edlinger e Philippe Magnin, egli concatenò numerose ascensioni di notevole fama e difficoltà, tra le quali la trilogia, Grandes Jorasses, (via Goussaut, René Desmaison), Nord del Cervino, Nord dell'Eiger;
il concatenamento di tutti gli 82 4000 delle
Alpi [1] , da marzo ad aprile del 2004. Durante l'ascensione del Täschhorn, nel massiccio del Mischabel (Canton Vallese), Patrick trovò tragicamente la morte a causa del distacco di una cornice nevosa che lo fece precipitare a valle.
Nel febbraio del 2003, assieme a Philippe Magnin, partendo da un campo base installato sul versante italiano del
Monte Bianco, concatenò le 8 più belle vie di ghiaccio e le otto più belle vie di misto del massiccio, impresa che valse ai due alpinisti francesi il premio Cristal 2003, consegnato dalla Federazione Francese di Montagna ed Arrampicata Fédération française de la montagne et d'escalade (FFME).
Dopo numerose spedizioni himalaiane, Berhault riuscì a conquistare l'
Everest, il 23 maggio 2003, in occasione del cinquantenario dalla prima ascensione. Partito da campo 4 a mezzanotte, arrivò in vetta alle 6.30.




L'artista dell'arrampicata!


Marco Confortola e l'ANNAPURNA



Moro e Urubko: completata la prima invernale sul Makalu


KATHMANDU, Nepal -- "CIMA! CIMA! CIMA!!" Scoppia di gioia la voce di Simone Moro, che quest'oggi alle 14, ora nepali, ha realizzato il sogno della prima invernale al Makalu con l'amico Denis Urubko. L'alpinista ha telefonato qualche minuto fa dalla tenda a 7.700 metri di quota. "In cresta c'era un vento che ci portava via - ha detto -. Veramente, è stata una lotta. ma abbiamo stretto i denti, volevamo mettere la parola fine, dopo trent'anni. E adesso non c'è più nessun ottomila, in Himalaya, inviolato d'inverno".
9 febbraio 2009. Segnatevi questa data e ricordatevi questo istante, cari lettori. E' storia. Alle 14 di oggi, ora nepalese, Simone Moro e Denis Urubko hanno toccato la cima del Makalu, 8.473 metri, siglando la prima salita invernale assoluta della montagna. Il Makalu è infatti l'unico ottomila himalayano a non essere ancora stato salito d'inverno, nonostante numerosi e illustri tentativi in passato.L'anno scorso, Urubko e il compagno russo Serguey Samoilov erano riusciti a raggiungere "solo" i 7.400 metri di quota, prima di essere respinti da venti infernali che, in alcuni tratti, li avevano perfino sollevati da terra. Quest'anno, Urubko e Moro hanno fatto il passo che mancava. E sono arrivati lassù. Stringendo i denti. Nonostante il freddo, il gelo e la bufera. "Stamattina quando siamo partiti c'era meno quaranta - ci ha detto Moro poco fa -. Sulla cresta in certi tratti c'era un vento che ti buttava via. Ma non abbiamo mai mollato. Alle due di questo pomeriggio eravamo in vetta. 8.473 metri. Ma è stata dura, dura... davvero una lotta. Altro che lo Shisha Pangma, 8.027 metri... Qui, a quella quota, devi iniziare a "giocare" sul serio. E quegli ultimi metri, infernali. Ma ce l'abbiamo fatta". E' un fiume in piena, Simone Moro, non riesce più a fermare le parole. Non sa più quali usare per dare sfogo alla gioia, alla soddisfazione di aver realizzato un sogno come questo, e di averlo fatto con l'amico Denis Urubko. Dopo due anni di tentativi invernali al Broad Peak, ecco finalmente il premio a tanti mesi di sforzi, di sacrifici e di sogni soltanto sfiorati. "Ora siamo nella tenda a 7.700 metri - racconta Moro - fuori c'è una bufera infernale. Che vento! Ma io e Denis stiamo bene, non abbiamo congelamenti, niente. Stanotte dormiamo qui, domani mattina appena spunta il sole scendiamo e ritorniamo al base. Abbiamo fatto la cima!"Simone Moro, 41 anni, con questa salita, mette un'altra strepitosa firma nell'esclusiva e ristretta lista di alpinisti che possono vantare prima invernale su un ottomila. Una lista che parla perlopiù polacco, in cui Moro era entrato nel 2005 salendo in prima invernale lo Shisha Pangma insieme a Piotr Morawski. Per Urubko, fuoriclasse kazako ormai noto al grande pubblico per le sue incredibili scalate tra cui figura la Nord del K2, si tratta del primo successo invernale e del 13esimo ottomila salito senza ossigeno.







trekking all'Annapurna B.C.


Chris Sharma all'Arco di Mallorca

Chris Sharma cavalca le onde... no, non proprio le onde, ma l'enorme arco che era diventato suo progetto sull'isola di Maiorca, in Spagna. E lo fa ancora una volta in stile DWS, ovvero Deep Water Soloing che significa arrampicare slegato sopra il mare. Secondo Josh Lowell di Big Up productions, la via di Chris sale sul lato rovesciato dell'arco e i pasaggi chiave sono composti di un lancio di due metri a 10 metri sopra il mare, seguito da un ristabilimento boulderoso 5 metri più in su! La via attualmente non è stata gradata, ma Sharma paragona i preparativi per il progetto (una serie di viaggi e circa 50 tentativi solo per il lancio!) alla sua Realization a Ceuse. Inutile dire che alle difficoltà tecniche vengono ovviamente aggiunte anche quelle psicologiche... e si capisce perchè lavorare i movimenti così in alto sopra il mare ha portato il progetto ad un livello completamente nuovo per l'americano.


Mario Merelli VS. Lhotse

Il Lhotse, quarta montagna più alta della Terra, è composto da tre vette ed è collegato direttamente all'Everest tramite l'alta dorsale del Coplle Sud. I primi a raggiungerne la vetta furono gli svizzeri Fritz Luchsinger ed Ernest Reiss il 18 maggio1956 nella spedizione coordinata da Albert Eggler.Oltre alla cima principale di 8.516 metri, sono presenti altre due cime secondarie: il Lhotse Mig (Est),8.414 m ed il Lhotse Shar, 8.383 m.Il Lhotse è indicato con la sigla E1 dal servizio cartografico dell' Índia, in quanto la montagna non pare avere un nome ufficiale ne in tibetano, ne in nepalese. Nell'agosto del 1921, Howard Bury non trovando un nome locale che definisse la montagna propose: Lhotse che in tibetano vuol dire picco sud, in quanto la sua cima si trova a sud dell'Everest ed è unito ad esso tramite il colle sud.

"Ehh il Lhotse è grande, è stata dura, una sfatigata del'ostrega" racconta Mario, e lo si può intuire dal respiro un po’ pesante e dall’insolito intercalare tra le parole “Sono arrivato poco fa qui, al 2. Ho trascorso la notte al campo 3, ero sfinito, scendendo avevo pensato di proseguire per raggiungere il campo 2, ma appena sono entrato in tenda per sciogliere un po’ di neve sono crollato, mi sono addormentato…”


Chris Sharma alla falesia di Ceüse, Haute Alpes, Francia

■Allora Chris, ce l’hai fatta!
Si, è stato bello, sono molto felice, è stata dura, durissima. Ora posso partire soddisfatto, veramente soddisfatto, anche se già so che questa condizione durerà poco. Come ogni soddisfazione anche questa non può che essere passeggera, la vera felicità io la cercherò altrove.

■Ma vuoi descriverci bene come è andata la giornata, vuoi raccontare come sono andate le cose?
Al mattino era brutto, piovigginava ed era molto freddo, all’inizio non volevo nemmeno partire, ho aspettato un paio d’ore, poi mi sono detto, “andiamo a fare un giro, andiamo a vedere.” Così siamo saliti, piano piano, verso la falesia, gocciolava ancora. Sono salito con tutti gli amici che in questi giorni sono con me, presto il cielo si è aperto, ha smesso di piovere e si è alzata un po’ di aria che ha asciugato la roccia.Abbiamo cominciato a scaldarci, la roccia era ancora umida, ma si è asciugata completamente quando oramai mi sentivo a posto per un tentativo.

Come era l’atmosfera in quel momento ai piedi della falesia?
C’era un’aria veramente magica. Una specie di elettricità nell’aria, una energia incredibile, qualcosa di sottile e di potente al tempo stesso. L’avvertivo, molto potente, molto forte. Mi sentivo estremamente a mio agio anche per la scarsità di persone presenti, infatti vista la pioggia del mattino eravamo in pochissimi ad essere saliti ai piedi della falesia. Anche questo mi ha dato una grandissima forza, una pace interiore che mi ha aiutato nel mio intento.Sono contento se ci sono persone che assistono alle mie arrampicate incitandomi e partecipando emotivamente alle mie prestazioni.Queste persone mi danno un sostegno prezioso, il loro supporto, i loro incitamenti si diffondono nell’aria, mi raggiungono e mi infondono forza, non è sempre così, talvolta queste incitazioni si trasformano in una specie di ansia della prestazione che si riflette su di me.

■Cosa intendi, come hai affrontato questo aspetto? Come ti sei preparato concretamente?
Ho fatto degli esercizi di rilassamento, e di meditazione, visualizzando i movimenti della via uno ad uno, ripercorrendola immobile e concentrandomi sulle mie emozioni. Questi esercizi mi hanno aiutato moltissimo. Mia madre mi ha insegnato ad impostare gli esercizi di autoipnosi. Salire la via è stato un po’ come stare in una “dimensione parallela”, i movimenti si seguivano con una precisione limpida. Poi tutto è successo così velocemente...

■Accidenti un percorso lungo...
Si, una sessantina di movimenti, oramai la sequenza dei movimenti era ben memorizzata per la prima parte della via e anche per la seconda, si trattava di vincere il blocco, una specie di nodo, che mi veniva ogni volta che arrivavo al chiave. Grazie alla meditazione e alla visualizzazione sono riuscito a superare il blocco.


"Lady Geco" scala San Siro

"I tifosi devono imparare a conoscere il mio sport, che non ha nulla da invidiare al calcio in fatto di adrenalina e spettacolo". Queste le parole di Jenny Lavarda, campionessa di arrampicata e ice climbing, dopo l'incredibile scalata sulle torri di San Siro, compiuta nei giorni scorsi.